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Crocetta contestato a Catania

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È venuto a chiudere la campagna elettorale nella nostra città il governatore siciliano. In piazza Teatro Massimo ad attenderlo c’eravamo noi e pochi intimi. Poco dopo le 23.00 si presenta sul palco, bofonchiando qualcosa su progetti futuri e prospettive per i giovani. E i giovani c’erano: studenti, precari e disoccupati, stanchi di essere sempre nominati ma mai presi in considerazione.

Eravamo lì a riempire quella piazza vuota per dire a Crocetta che non c’è spazio in questa città per chi autorizza l’ennesima opera bellica per eserciti d’oltreoceano, che non c’è spazio per partiti come il PD che approva il TAV, che mai avrà spazio un partito che, al governo, approva decreti come quello sul piano casa o sul lavoro.

Per questa gente, per questi soggetti politici spazio nella nostra città non ce n’è. E lo dimostrano la piazza deserta e lo stesso Crocetta che, al secondo coro di protesta, taglia corto ed esce dal palco, dopo neanche due minuti di discorso.

Rimaniamo noi e la digos in piazza, mentre dal palco qualcuno ricorda che il PD “è per la pace e la democrazia”: pace bellicosa e democrazia che sa di manganello, aggiungiamo noi, ricordando i compagni che ieri sobo stati portati in più di 40 in commissariato per aver contestato Renzi.

 

Siamo notav e nomuos, vogliamo casa e reddito per tutt*, con o senza il permesso di qualcuno.

Non inizia e non finisce nulla il 12A

Le nostre considerazioni sul 12 Aprile a Roma non riguardano la cronaca della giornata né la violenza della polizia a cui siamo purtroppo abituati. Nostro interesse è rimarcare i contenuti del 12A e rielaborarli in un ottica di “spinta” verso il vertice europeo sulla disoccupazione che si svolgerà l’ 11 Luglio a Torino, quello stesso vertice che era previsto proprio per 12 aprile a Roma e improvvisamente spostato di tre mesi.

Rivendichiamo le pratiche e i contenuti del 12 Aprile così come quelle del 19 Ottobre scorso. L’espressione dei Movimenti, che ritornano in piazza ad inaugurare la Primavera e soprattutto a esprimere contrarietà al governo Renzi, si articola su un piano molto reale della lotta, delle istanze e del conflitto. I passaggi concettuali e fisici sono molto semplici e soprattutto empirici, dunque tutti provenienti da esperienze vissute sulla pelle di centinaia di persone che, da tempo, si impegnano su diversi fronti di lotta. Parte dei Movimenti scesi in piazza il 12A sono partiti con una “richiesta d’ intervento” da parte delle istituzioni su temi importanti ma decisivi, come l’assegnazione delle case, l’integrazione e la precarietà. Se da un lato si sono aperti dei tavoli di discussione dall’altro il prezzo di questa apertura era la forzata acquiescenza. “Sappiamo che avete bisogno di case, sappiamo che volete reddito, sappiamo che volete maggiore integrazione e meno discriminazione, sappiamo che volete un diritto allo studio garantito. Sappiamo tutto questo e vi accontenteremo, a modo nostro e coi nostri tempi“. Dunque aspettare che queste istanze sociali, di un certo peso, venissero affrontate dalla politica governativa e parlamentare, regionale e comunale, in agende che mettono ai primi posti la costruzione del TAV, i pareggi in bilancio, i tagli ai servizi. Agenda politica espressione di un modo di vedere il mondo e la società, con le relative esigenze, totalmente al contrario. Ricevuta questa risposta, è stato automatico il passaggio al blocco degli sfratti dal basso, alle occupazioni di case per famiglie e studentati, alla creazione di micro società in cui si tenta di rispondere dal basso e in assenza di delega ai bisogni, alle esigenze, alle aspirazioni. Così le piazze si sono riempite nuovamente, animate da nuova consapevolezza. Se da un lato la manovra dei mass media orchestrati a dovere è quella di far credere che certe pratiche appartengano solo a “zoccoli duri antagonisti, perlopiù dei centri sociali”, dall’altra la realtà è che in piazza, come ai picchetti e alle occupazioni, certe pratiche sono invece condivise da molti “insospettabili”. Pratiche antagoniste e conflittuali che sono in grado di rendere concrete delle soluzioni e che parlano di contestazione e riappropriazione contemporaneamente.

In questo quadro, la piazza del 12A ha visto esprimersi il disagio di chi quotidianamente è costretto a “resistere” per avere un tetto sopra la testa, una borsa di studio o un alloggio che consenta di studiare, per arrivare con qualcosa in tasca a fine mese, per sopravvivere a leggi esclusive e respingenti. Il 12A è stata una nuova occasione di esprimere in maniera più decisa e diffusa pratiche di “assedio” verso quei ministeri responsabili del disagio diffuso. La crisi, questa entità astratta causa di tanti disastri concreti, in realtà ha nomi e cognomi e precisi scopi politici: tagliare il più possibile servizi e diritti per tenere sotto scacco le masse.

Non inizia e non finisce nulla il 12A.

Siamo partiti dal 19 Ottobre, siamo passati dal 12 Aprile per arrivare, sempre più consapevoli e decisi, al vertice sulla disoccupazione giovanile a Torino l’11 Luglio.

E’ finito il tempo di farsi determinare, è arrivato il momento di determinarsi.

Non abbiamo paura della repressione, siamo vicini ai compagni fermati sabato e… ci vediamo a Torino.

Fino a quel momento, continuiamo il nostro percorso di lotta in città.

Matteo, Lorenzo, Simone, Ugo LIBERI!

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JOB ACT? Ecco cos’è

In questi giorni approda in Parlamento il tanto chiacchierato Jobs Act del neo governo Renzi. Senza tante illusioni, dopo le indecenze del “piano casa” e la truffa della rimodulazione delle Province, abbiamo deciso di dargli un’occhiata, giusto per capire di che morte moriremo.

Il Jobs Act, omari decreto legislativo in realtà, ha in tutto sei articoli. Bello, viene da pensare. La #voltabuona è proprio quella che parla un linguaggio snello, in cui i decreti non sono lunghi (che solo ad aprire il PDF ti senti male nel vedere quanto tempo ci sta a scaricarsi). Solo sei articoli… e che ci vuole leggiamoli, che sarà mai! Finito di leggere solo il primo articolo ci rendiamo conto di cosa abbiamo davanti. Più che la #voltabuona sembra l’ #inculataperfetta. Infatti le “Semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto del lavoro a termine” appaiono un grande puzzle di correzioni ortografiche: prendi l’articolo ics del decreto alfa dell’anno zeta, abroga il primo capoverso, taglia la terza parola del quinto rigo, mettici un sinonimo con meno lettere e così è tutto più semplice. Certo, più semplice. La semplicità di questo primo articolo sta tutta nel fatto che il contratto di lavoro a tempo determinato non prevede più la presenza delle causali, quella cosa che rendeva il contratto a tempo determinato un’eccezione alla regola, piuttosto che la regola stessa: se prima le regola era stipulare rapporti di lavoro a tempo indeterminato e giustificare, in via eccezionale, rapporti di lavoro a tempo determinato, oggi salta l’obbligo di giustificazione. “Ma che ce ne facciamo delle causali, l’importante è che adesso il rapporto di lavoro sia aumentato da 12 a 36 mesi, che bel sospiro di sollievo!” In realtà, questi sono 36 mesi in cui il contratto può essere di fatto rinnovato fino ad otto volte: certo, sarà possibile avere un contratto di lavoro di 36 mesi ma, di fatto, a 36 mesi ci arriverai attraverso un massimo di otto rinnovi. Vi immaginate otto rinnovi in tre anni? Si tratta di un aumento esponenziale della condizione di precariato per cui conti i giorni che finiscono allo scadere del contratto per sapere se te lo rinnoveranno o meno (almeno, non dovrai più aspettare il mese prima obbligatorio tra un rinnovo e l’altro).

Non finisce qui.

Infatti l’articolo 2 tratta di “Semplificazioni delle disposizioni in materia di contratto di apprendistato”. Anche qui, di semplificare, semplifica. Infatti tra un’abrogazione e un’altra dell’articolo ics, del decreto alfa dell’anno zeta, salta l’obbligatorietà per il datore di lavoro della formazione dell’apprendista (col relativo piano formativo) così come la successiva assunzione dell’apprendista. L’apprendistato dunque, formula appositamente pensata per inserire e formare nel mondo del lavoro i giovani (infatti il datore di lavoro era prima “costretto” ad assumere una parte degli apprendisti nel proprio personale), perde il suo valore di base. Diventa una forma come un’altra di sfruttamento, un contratto come altri, che nulla ti garantisce se non un’esistenza precaria.

Ma se vogliamo andare avanti arriviamo direttamente all’articolo 5, quello che parla di contratti di solidarietà. “In pratica proporremo una sorta di reddito minimo di cittadinanza” diceva Renzi insieme al resto della banda. In realtà, si rimanda quasi tutto ad un futuro decreto legge inter ministeriale, tra Lavoro ed Economia. Questo articolo 5 semplicemente stanzia 15 milioni di euro per i sussidi, prendendo in considerazione anche i lavoratori precari (fino ad oggi esclusi). 15 milioni che, oltre a non sapere da dove verranno presi (come tutto il resto delle coperture di questo nuovo governo), non si sa come verranno distribuiti, rimandando al famoso decreto legislativo inter ministeriale i criteri e le modalità.

Bello il Job Act, altrimenti detta Riforma del Lavoro. Sei articoli che, in pratica, liberalizzano il contratto a tempo determinato e rendono ulteriormente precaria la condizione del lavoratore, sempre in bilico tra un contratto e un rinnovo sperato.

Nonostante i bei proclami di Renzi e compagnia bella, il risultato è sempre e solo uno. Non ci aspettavamo granché ma comunque abbiamo voluto leggere e valutare questa “svolta epocale” che, nelle menti malate che vorrebbero governarci, garantirebbe un aumento delle assunzioni e più garanzie per i lavoratori.

Per quanto ci riguarda, fino a quando lavoro significherà sfruttamento e assenza di garanzie, tutto a beneficio del dio padrone (oggi detto datore di lavoro), possono legiferare e modificare quanto vogliono: tanto il lavoro così concepito farà sempre e solo schifo.

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