“Togliere spazi sociali per farne parcheggi”

Togliere spazi sociali per farne parcheggi.
Ad una prima lettura nessuno potrebbe avallare quest’affermazione eppure…
Eppure la Virlinzi SPA, che si sarebbe già appaltata demolizione e sistemazione, non vede l’ora di muovere l’ennesimo tentacolo in una città in cui il Cavaliere Ennio Virlinzi, re del ferro e del cemento è il principale immobiliarista.
Eppure la giunta Bianco, che col suo assessore al Patrimonio ha partecipato alla riapertura dei locali, ha cambiato idea e dove non ci sono prospettive di grasse pubblicità o di bacino di voti sceglie di demolire.
Eppure piccoli locali ed abitanti “chic” del centro storico, abituati ai giochi ed alla pressione del capitale, non vedono altro che concorrenza sleale, svago non mercificabile, pubblico non compatibile.
Eppure attenti burocrati, dispersi nei cavilli, vedono in un parcheggio un luogo sicuro, di certo più di uno spazio sociale.
Il capitalismo tutto mercifica, tutto desertifica, tutto svuota. Inutile soffermarsi oltre su dinamiche che chi conosce Catania può decifrare alla perfezione, quello che vogliamo fare adesso è concentrarci sulla controffensiva possibile. Non si può condannare la Virlinzi SPA senza condannare la giunta Bianco, non si può condannare la giunta Bianco senza condannare l’atteggiamento di piccoli locali e cittadini perbenisti o dei maniaci della burocrazia, e così via. Il pacchetto è unico e la scelta è semplice: accettarlo o respingerlo.
Credere di poter venire fuori dal reticolo di malaffare, dalla bassezza, dallo sfruttamento, stringendo la mano ad uno di questi attori per allontanare gli altri è quanto mai lontano dalla realtà, in quanto essi stessi si alimentano a vicenda e vicendevolmente si tengono in vita. Scongiurare il pericolo per via legale, d’altronde, non crediamo sia possibile: la legge, com’è noto, non sta mai dalla parte dei più deboli, ed in questo caso, benché forti di idee, di principi e di solidarietà, i forti sono gli altri.
Ma attenzione, abbiamo detto “forti”, non “imbattibili”. In fondo, se legali sono oggi i respingimenti dei profughi alle frontiere, le operazioni di pace con la guerra, gli sfratti coatti di chi non arriva a fine mese, i licenziamenti per motivo soggettivo, le trivellazioni dei mari e così via sino ad arrivare agli sgomberi degli spazi sociali, forse questa decantata legalità, non è proprio qualcosa per cui vale la pena lottare. E sì, lottare, impegnare le proprie forze materiali o spirituali in una decisa azione di affermazione o di difesa, combattere, adoperarsi con ogni mezzo necessario per uno scopo. Per quanto ci riguarda, è nella lotta che abbiamo sempre vissuto il cambiamento ed è con la lotta che lo otteniamo.
E quindi, togliere spazi sociali per farne parcheggi? Non ci stiamo! Alla Palestra Lupo, consapevoli di alcune affinità come anche di moltissime differenze che vi sono tra i nostri spazi sociali, esprimiamo solidarietà, pronti a metterci in gioco se necessario in difesa di quel variegato contenitore, a fintanto che da Palestra Lupo per prima si levi una voce di riscatto e di resistenza, mai di rinuncia o di resa.
La resa piuttosto, l’auguriamo a chi sogna parcheggi.
I militanti e le militanti del Centro Sociale Liotru

#NOINVALSI ma perchè?

La legge 107 (Buona Scuola) entrata in vigore lo scorso anno ha sancito l’avvio di un sistema scolastico che stravolge del tutto la funzione della scuola, da sempre luogo di crescita non individuale ma collettiva, di scambio continuo non di competenze ma di conoscenze, riflessioni, idee.

Proprio il carattere di crescita collettiva, di scambio e non di competizione, di luogo di conoscenza e non di accumulo di competenze è uno dei caratteri della scuola che la nuova riforma colpisce più nel profondo. Nel testo della Buona Scuola si parla continuamente di merito, merito per la valutazione di insegnanti, scuole e alunni, merito che, secondo la logica della legge sarebbe utile a premiare i soggetti più impegnati, più talentuosi, senza fare cenno però alle conseguenze che la premiazione di alcuni, le cosiddette “eccellenze”, avrebbe su tutta la restante parte di soggetti comunque appartenenti al mondo della scuola, che si troverebbero in una posizione di sostanziale subordinazione rispetto ai primi.

Dunque un primo obbiettivo della scuola diventa la semplice corsa al primo posto, la necessità di essere al primo posto e la conseguente voglia di prevaricare l’altro, distruggendo così l’ambiente collettivo di scambio e cooperazione che la scuola dovrebbe naturalmente rappresentare. Per stabilire quali siano i fantomatici soggetti “meritevoli” sono necessari metodi di valutazione “oggettivi”, il cui compito in realtà è unicamente valutare competenze apprese acriticamente in un sistema in cui l’unica utilità della scuola è (come conferma il progetto di alternanza scuola-lavoro) crescere soggetti da impiegare in un sistema di precariato e sfruttamento, di cui il Job’s Act (la riforma sul mondo del lavoro) è il chiaro emblema.

Per questo motivo il modello valutativo che ormai da diversi anni si cerca di imporre nel mondo dell’istruzione è il famigerato modello INVALSI, il “test a crocette” che siamo tristemente abituati a conosflashmobcere. Questo genere di test, somministrato indiscriminatamente a livello nazionale in tutte le scuole, elementari e medie, istituti e licei, però, non tiene conto di moltissimi fattori, quali i contesti sociali delle scuole e dei singoli alunni, le inclinazioni e le attitudini di questi ultimi, non tiene affatto conto del pensiero critico, dell’approccio individuale all’apprendimento, riducendo così il merito alla semplice conoscenza passiva di una serie di nozioni ritenute “utili” da chi somministra lo stesso test.

Cosa significano quindi merito e valutazione nel sistema scolastico stravolto proposto dalla Buona Scuola? Significano competitività, ricerca dell’individualismo, riduzione della funzione dello studio alla necessità della corsa alla carriera, abolizione del pensiero critico e premiazione del nozionismo. In parole povere, quello che la Buona scuola cerca di introdurre nelle nostre scuole sono una mentalità e un sistema volti a rendere la scuola stessa una fucina per creare individui schematizzati, non persone ma numeri il cui unico obiettivo sia quello di inserirsi al meglio nella società satura di falsi valori individualistici e competitivi.

#Renziscappa anche a Catania

prova_a_prendermi1Il #Renziscappa tour fa tappa anche a Catania e non si può dire certo che non sia stata una tappa sofferta. Lo è stata di sicuro per chi voleva scendere in piazza a esprimere tutta la propria rabbia contro il governo di Matteo Renzi e del suo partito. I contestatori sono stati obbligati a scontrarsi in prima battuta contro uno scarsissimo preavviso e soprattutto un’imbarazzante tarantella di orari e di luoghi che, variando di ora in ora, ha reso impossibile l’organizzazione e la pubblicizzazione di un momento cittadino di opposizione. Il timore di ricevere buca dal giovane primo ministro fuggitivo ha portato uno
striscione affisso al Teatro Massimo Bellini nelle prime ore di sabato ha comunque consegnato un messaggio importante al presidente: “Renzi Coniglio, Catania non ti vuole!” .
Superata questa gincana orchestrata a braccetto da Presidenza del consiglio dei ministri e Questura di Catania, chi sabato è sceso in piazza si è trovato di fronte un centro storico del tutto militarizzato e un enorme schieramento di forze dell’ordine a protezione della passerella di Renzi e dei politicanti di casa nostra.

Sofferta dicevamo. Sofferta per i contestatori sì certo, ma se vogliamo dirla tutta sofferta anche per Matteo Renzi e il suo entourage. Mentre verso il Teatro Massimo sfilava il peggio della politica locale e regionale di destra e di sinistra, indifferentemente chiamata a raccolta e bollita nel calderone della “nuova” politica renziana, il dato politico più rilevante rimane quello di una fuga programmata quanto inevitabile. Programmata perché, con buona pace delle retoriche di regime, Renzi sa bene di essere marcato stretto dall’opposizione sociale al proprio governo. Inutile in questa sede ricordare che le contestazioni (e la conseguente mano repressiva) seguono puntualissime Renzi e le sue visite in tutta Italia.

La fuga è inevitabile perché Renzi è ad oggi simbolo primo della mala politica delle collusioni, delle banche, dei petrolieri e degli affaristi, ma anche la politica della distruzione della scuola pubblica e della celebrazione ultima dello sfruttamento, è la politica del “progresso” per i soliti noti, è la politica delle devastazioni territoriali e della marginalizzazione delle periferie, è la politica che umilia e condanna il sud nelle classifiche universitarie, nelle deportazioni dei docenti, nell’uso e ridistribuzione dei fondi, nell’emigrazione dei giovani. Ma più di ogni altra cosa è la politica che rappresenta se stessa in comizi sorvegliati da cecchini, che parla esclusivamente il linguaggio delle passerelle, che ricicla il peggio delle classi politiche del decennio e che, inevitabilmente, da queste e tante altre strade dovrà fuggire.

 

Nella memoria l’esempio, nella lotta la pratica

Correva l’anno 1945 ed in Italia prendeva forma un fenomeno chiamato “Resistenza Partigiana” .

Di ‘resistenza’, durante il ventennio fascista e l’avvento del nazismo se n’è parlato tante volte: migliaia di  piccoli focolai di opposizione hanno attraversato la penisola italiana in quegli anni, piccoli atti di disobbedienza quotidiana diffusi tra la popolazione. Ma nel 1945, anno in cui l’Italia viene liberata dall’oppressione fascista, succede una cosa tanto inaspettata quanto fondamentale: quella del ’45 è stata  l’esplosione di una rabbia collettiva che già da  anni covava tra la popolazione. L’organizzazione  delle Brigate Partigiane, spontanea, popolare ed assolutamente trasversale, esprimeva un radicale ed immediato bisogno di libertà e una necessità di autodeterminare la propria vita.

Se è vero quindi che il 25 aprile non è altro che una delle grandi giornate di resistenza che i partigiani hanno attraversato nel loro percorso di lotta verso la liberazione, è anche vero che la vittoria dell’antifascismo e la vittoria di uno dei fenomeni di Resistenza più forti d’Europa, deve essere ricordata con gioia e festeggiata per quello che è: un giorno di memoria collettiva, di messa in comune di esperienze e conoscenze.

Ecco perché feste25 aprileggiamo il 25 aprile, perché nel nostro “calendario di lotta” questa data è sempre in rosso: ricordiamo chi, per difendere e liberare la propria terra, ha imbracciato le armi e combattuto.

Chi a 18, 25, 50 anni ha rischiato la vita tra le montagne e nelle ferrovie, tra i nascondigli e i boschi, perché vivere sotto l’oppressore fascista era migliaia di volte peggio che morire inseguendo il sogno della Libertà.

Festeggiamo il 25 aprile ma restiamo l’antifascismo tutto il resto dell’anno e combattiamo contro,il nostro oppressore che oggi ha però cambiato volto.

Viviamo e resistiamo quotidianamente nella nostra bella ma difficile terra, cerchiamo di, come fecero i partigiani nel costituire le Brigate, creare una comunità di lotta e in lotta, di mettere in comune le nostre esperienze e da queste portare avanti una lotta vera e costante sul territorio, che ci permetta di non essere oppressi da chi ci vuole schiavi del lavoro precario, di chi ci vuole schiavi di un’istruzione sterile e fine a se stessa.

Perciò il 25 aprile possiamo permetterci di festeggiare, di ricordare chi ha lottato prima di noi e, per tanti versi, ci ha anche insegnato cosa vuol dire lottare per la propria libertà.

Vivere questa data come un giorno di vera festa e liberazione, sentirla come una data che parla dei valori dell’antifascismo, ma soprattutto come una data che ci ricorda l’immenso valore che ha la lotta quotidiana.