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#IoResto #IoResisto

Negli ultimi 20 anni 2.5 milioni di persone sono emigrate dal Sud, soprattutto giovani, partiti per studiare o lavorare.
L’isola spesso decantata per le sua indiscussa bellezza, ad un certo punto sembra essere così ostile e inospitale da spingere tante e tanti a fare i bagagli. Il risultato è un territorio sempre più sterilemanifesto e impoverito, con piccoli paesi destinati a scomparire e città svuotate.
Oggi, rimanere al Sud, in Sicilia, è un atto di resistenza.
Resistiamo in mezzo ad una matassa di macro e micro poteri, resistiamo ad una mentalità comune abituata alla rassegnazione e all’accettazione, resistiamo ad un sistema capitalista in cui sfruttare è l’unico verbo riconosciuto, resistiamo a politici che lucrano ogni giorno sulla nostra pelle.
Che fare quindi? Prima di tutto scegliere.
Scegliere di rimanere, che non è scontato, né per lo più facile.
Porselo come imperativo se si pensa che a rimanere invece è il peggio della politica e dell’economia nostrana che negli anni questa terra l’ha solo affossata.
Chi ha deciso che al Nord si deve studiare, lavorare, vivere meglio che qui? Vogliamo tutto! Vivere e lottare a scuola, a lavoro, in quartiere, ovunque per difendere il mio territorio, per cambiarlo e migliorarlo.
Domandarsi costantemente:“Ma se non lo faccio io, perché dovrebbe farlo qualcun altro?”
E poi ancora rompere la gabbia dell’isolamento, mettersi in comune e resistere insieme.

A fianco della Resistenza Curda

Rojava_cities

Perché oggi si torna a parlare di Kurdistan, di PKK, di una questione aperta da ormai oltre trent’anni che oggi sembra prendere di prepotenza posto nell’informazione quotidiana? La risposta, almeno in parte, è il nome di una piccola cittadina posta sul confine turco-siriano, di qualche decina di migliaia di abitanti: Kobane. Kobane però, da un po’ di tempo, nello specifico dal 2012, non rappresenta semplicemente un piccolo insediamento urbano di frontiera, ma è sia un simbolo, sia il vero e proprio concretizzarsi di un preciso progetto politico rivoluzionario. E’ infatti dal 2012 che il YPG (unità di autodifesa del popolo curdo) e il YPJ (unità di protezione delle donne), dopo lo scoppio della guerra civile siriana, hanno preso il controllo della città rendendola un insediamento autonomo e indipendente dal governo siriano. Altro motivo per cui il nome della città ha riecheggiato nei notiziari di tutto il mondo nel periodo recentissimo, è l’eroica resistenza che gli stessi YPG e YPJ, praticamente soli, all’assedio che lo Stato Islamico ha lanciato alla città da quasi un anno.

Per altro la tesissima situazione fra PKK e Turchia ha influito nel conflitto, causando la chiusura della frontiera siriana da parte del governo di Ankara, impedendo, o quantomeno complicando in modo considerevole, il passaggio di sussidi umanitari o militari (provenienti da altri stati come, ad esempio, l’Iraq). Sempre in Turchia, inoltre, la situazione è parecchio carica a causa sia degli interventi dei guerriglieri del PKK ai danni dell’esercito turco, sia degli scontri di piazza fra manifestanti curdi e forze militari.

La città di Kobane, dunque, si trova ora stretta sotto la morsa di due “grandi potenze” del Medio Oriente: da un lato fronteggia l’avanzata dell’ISIS, dall’altro si trova pressata sul confine bloccato della Turchia.

A mobilitarsi, organizzando carovane per gli aiuti umanitari, campagne nazionali e internazionali per il sostegno e la ricostruzione di Kobane dopo la sua quasi totale liberazione, sono stati prevalentemente associazioni o gruppi legati a varie aree politiche della sinistra. Il coinvolgimento dei suddetti gruppi però va ben oltre la sola questione dell’esigenza umanitaria, che ha in ogni caso contribuito alla decisione di mobilitarsi per portare aiuti concreti nella zona. Quello che sta accadendo in questo momento nel Rojava (Kurdistan Occidentale) non è solo un conflitto contro il gruppo dello Stato Islamico. Quello che succede a Kobane da ormai tre anni è, come già specificato, la realizzazione di un progetto rivoluzionario, portato avanti dal PKK (partito dei lavoratori del Kurdistan), storicamente portavoce dell’indipendenza curda nella zona della Turchia, ma anche promotore di idee rivoluzionarie anticapitaliste, antistataliste, che non mirano solo alla liberazione e indipendenza di un popolo, ma alla costruzione di una società libera dai vincoli e dallo strapotere di una struttura statale, libera da strutture e dogmi sociali, religiosi, culturali che perdurano da molti secoli e che minano la libertà di ognuno, oltre ad avere in buona parte contribuito al consolidamento della società capitalista.

Questo progetto politico prende il nome di autonomia democratica, ed è stato adottato dal PKK dalla fine degli anni ’90, dopo una lunga serie di valutazioni che hanno portato a non ritenere valido per i propri scopi, e dunque per un’effettiva liberazione dei popoli, il sistema Statale marxista-leninista, a cui prima faceva capo. Il motivo della scelta da parte del partito di adottare e rendere propria questa idea è in parte espresso in una frase pronunciata da Ocalan, storico leader del PKK ora detenuto in un’isola prigione in Turchia, che dice:” Dal momento che il PKK si poneva come difensore della libertà, non potevamo continuare a pensare in termini di gerarchia”. E’ evidente come il progetto si fondi su basi libertarie. Nella sua struttura, a livello locale basata sull’autogoverno di provincie più o meno ristrette e a livello generale, nella sua forma di Confederalismo Democratico, su un’assemblea composta da rappresentanti delle autonomie locali eletti tramite democrazia diretta, si può avere già un primo esempio di questo aspetto. L’assenza di poteri gerarchizzati e istituzionalizzati è evidente anche nella scelta di non creare nuclei di forze armate asserviti ad un controllo di tipo statale, ma unità di autodifesa popolare (come esempi basti vedere il YPG e il YPJ).

Importante è anche la fermezza che viene applicata nella difesa dell’ecologismo. Infatti il PKK muove forti critiche al rapporto che il sistema capitalista ha con la questione ecologica, rapporto contraddistinto da un relazione di sfruttamento tra soggetto e oggetto.

Sempre riallacciandosi alle questioni culturali e sociali, altro punto focale della lotta del PKK è la totale avversione alle logiche patriarcali che hanno da diversi secoli contaminato gli aspetti culturali e sociali della vita di ogni popolo. Per questo la donna assume un ruolo fondamentale nella struttura di questa società. Vengono del tutto appianate le differenze create da un impianto culturale vecchio millenni e fondato su dogmi e preconcetti ovviamente ingiustificati e deleteri per la creazione di una società veramente libera. Inoltre è fortemente rimarcato il concetto per cui l’asservimento della figura femminile, contro cui l’autonomia democratica combatte, non debba essere ridotto, come spesso accade, a una questione relativa alla sfera del privato, ma debba anch’esso essere considerato parte dell’impianto sociale stesso. Per questo l’importanza della donna fa in toto parte del progetto politico in ogni suo aspetto.

E’ adesso forse più semplice capire che l’importanza di Kobane non sta solo nell’eroica lotta che sta combattendo contro un nemico comune di questo momento storico, l’ISIS, ma anche e soprattutto nella vera e propria rivoluzione che sta partendo da essa; una rivoluzione non relegata a vivere solo nel contesto di una piccola cittadina di frontiere devastata da una guerra continua e dal fascismo Turco, ma che vuole estendersi oltre i confini di un’ipotetica nazione curda (priva di Stato), partendo dal territorio mediorientale, da sempre colpito senza alcun ritegno dall’Occidente, emblema e fondatore, in un certo senso, della società a cui l’autonomia democratica si oppone. Kobane è in questo momento un vero e proprio simbolo rivoluzionario, ed è per questo, oltre che per la questione umanitaria di base, che le organizzazioni e i gruppi si muovono costantemente in suo aiuto.

Per sostenere la resistenza e il progetto (di cui sopra) del popolo curdo, Aleph Catania ha deciso di prendere parte attivamente alle campagne di raccolta fondi.

A livello internazionale vengono organizzate iniziative a sostegno di Kobane, e sulla scia della campagna nazionale per la ricostruzione di Kobane, a Catania, sotto la firma di “Catanesi solidali con la resistenza curda”, come militanti e attivisti di varie realtà politiche della città abbiamo organizzato e stiamo portando avanti una serie di iniziative che culmineranno con un’assemblea e un concerto a Palestra Lupo il 4 Ottobre, i cui proventi saranno impiegati nella costruzione a Kobane di un ospedale, della scuola “Antonio Gramsci” e della Casa Delle Donne.

25 APRILE – SEMPRE

Il 25 aprile per noi non è solo la commemorazione di ciò che è stata la liberazione dal fascismo grazie alla resistenza. Non può esserlo perché nella nostra diversità noi siamo antifascisti e resistenti ogni giorno.

In nome della crisi economica sono state vagliate misure economiche e sociali pesantissime. L’istruzione è stata resa inaccessibile e costosa, seppure non sempre la qualità garantita è alta; il lavoro reso precario e privo di garanzie, per cui il lavoratore diventa una pedina nelle mani di chi ha potere di spostarlo o eliminarlo dalla scacchiera di un mercato sempre più concorrenziale e dominato dal capitale; gli affitti rincarano e non riescono più ad essere pagati; chi si sposta da un paese in guerra o in carestia viene accolto dall’apparato repressivo dello stato pronto a trasferirli, lontano dagli occhi della gente, nei CIE o nei CARA per mesi e mesi, negando loro il diritto ad una vita migliore. Si sono chiesti tanti, troppi sacrifici per arrivare a tempi migliori e, dopo anni, ci ritroviamo con meno diritti e una classe politica sempre meno adatta e sempre più parassita, pronta a tagliare alle fasce più deboli senza toccare i poteri forti, pronta a calare la testa ai vertici europei. Numeri, pareggi in bilancio e finanza sono diventati più importanti di garanzie, diritti e sostegno alle fasce più deboli. Il dissenso, forte e deciso, che si è espresso in questi anni è stato trattato come un semplice problema di ordine pubblico e non come il segnale politico e sociale che la gente è stufa di subire le scelte prese in palazzi lontani. Per cui vengono occupati studentati e palazzi vuoti per dare possibilità agli studenti di studiare in assenza di borse di studio; gli sfratti vengono bloccati; i migranti evadono dai CIE in cerca di libertà e condizioni migliori in cui vivere; vengono praticate abitualmente autoriduzioni non solo nei luoghi della cultura ma anche nei supermercati. La volontà di non essere più determinati da altri è forte e si è espressa con forza lo scorso 19 ottobre, quando più di 100.000 persone hanno assediato Roma e i palazzi del potere, in una giornata priva di partiti o sigle ma organizzata da realtà di movimento. Per noi queste sono forme di resistenza quotidiana a quella repressione che si è vestita da democrazia e ha preso le sembianze di decreti e leggi approvate, comprese le ultime riforme del neo governo Renzi che vengono spacciate per la svolta epocale di cui tanto abbiamo bisogno.

Questa crisi, inoltre, è stato un terreno su cui, subdolamente e in maniera viscida, organizzazioni neofasciste si sono create degli spazi politici che da anni non avevano. Da Casa Pound a livello nazionale al Cervantes a livello locale, si sono travestiti da associazioni di volontariato per propagandare la loro politica squadrista e violenta. A Catania se da un lato si tenta di reprimere tutte le esperienze di socialità e politica libere e dal basso, dall’altra esiste lo Spazio Libero Cervantes, che all’occorrenza elettore diventa Catania è Patria e Assalto Studentesco nelle scuole, che continua indisturbata e spesso anche finanziata da giunte e partiti amici

. Noi quindi a Catania resistiamo e continuiamo ad essere antifascisti con i metodi che, seppur diversi, ci riuniscono proprio su questi due valori. Tramite i nostri collettivi e le nostre associazioni, occupiamo i nostri spazi, autogestiamo attività ed esprimiamo il nostro dissenso culturale e politico. Crediamo in una socialità libera e non consumistica, riprendiamo il degrado culturale e materiale di una città volutamente lasciata a sé stessa, andiamo nei quartieri dimenticati e creiamo nuove prospettive, rendiamo accessibili pezzi di cultura altrimenti rinchiusi in biblioteche anonime e lontane. Scendiamo in piazza in maniera unitaria condividendo ed esprimendo le nostre diverse esperienze di resistenza giornaliera, senza mai dimenticarci di essere antifascisti. Come in Val di Susa o a Niscemi, in cui i movimenti NoTav e NoMuos hanno deciso di contrastare grandi opere e militarizzazione del territorio, pensiamo che la resistenza non è finita ma continua ogni giorno, nelle città e non solo.

Il 25 aprile per noi non è commemorazione.

Il 25 aprile per noi è lotta quotidiana.

Collettivo Aleph – Mangiacarte Libreria Sociale – CSO Auro – Individualità Anarchiche – Koordinamento AutOrganizzato Studentesco

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