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A fianco della Resistenza Curda

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Perché oggi si torna a parlare di Kurdistan, di PKK, di una questione aperta da ormai oltre trent’anni che oggi sembra prendere di prepotenza posto nell’informazione quotidiana? La risposta, almeno in parte, è il nome di una piccola cittadina posta sul confine turco-siriano, di qualche decina di migliaia di abitanti: Kobane. Kobane però, da un po’ di tempo, nello specifico dal 2012, non rappresenta semplicemente un piccolo insediamento urbano di frontiera, ma è sia un simbolo, sia il vero e proprio concretizzarsi di un preciso progetto politico rivoluzionario. E’ infatti dal 2012 che il YPG (unità di autodifesa del popolo curdo) e il YPJ (unità di protezione delle donne), dopo lo scoppio della guerra civile siriana, hanno preso il controllo della città rendendola un insediamento autonomo e indipendente dal governo siriano. Altro motivo per cui il nome della città ha riecheggiato nei notiziari di tutto il mondo nel periodo recentissimo, è l’eroica resistenza che gli stessi YPG e YPJ, praticamente soli, all’assedio che lo Stato Islamico ha lanciato alla città da quasi un anno.

Per altro la tesissima situazione fra PKK e Turchia ha influito nel conflitto, causando la chiusura della frontiera siriana da parte del governo di Ankara, impedendo, o quantomeno complicando in modo considerevole, il passaggio di sussidi umanitari o militari (provenienti da altri stati come, ad esempio, l’Iraq). Sempre in Turchia, inoltre, la situazione è parecchio carica a causa sia degli interventi dei guerriglieri del PKK ai danni dell’esercito turco, sia degli scontri di piazza fra manifestanti curdi e forze militari.

La città di Kobane, dunque, si trova ora stretta sotto la morsa di due “grandi potenze” del Medio Oriente: da un lato fronteggia l’avanzata dell’ISIS, dall’altro si trova pressata sul confine bloccato della Turchia.

A mobilitarsi, organizzando carovane per gli aiuti umanitari, campagne nazionali e internazionali per il sostegno e la ricostruzione di Kobane dopo la sua quasi totale liberazione, sono stati prevalentemente associazioni o gruppi legati a varie aree politiche della sinistra. Il coinvolgimento dei suddetti gruppi però va ben oltre la sola questione dell’esigenza umanitaria, che ha in ogni caso contribuito alla decisione di mobilitarsi per portare aiuti concreti nella zona. Quello che sta accadendo in questo momento nel Rojava (Kurdistan Occidentale) non è solo un conflitto contro il gruppo dello Stato Islamico. Quello che succede a Kobane da ormai tre anni è, come già specificato, la realizzazione di un progetto rivoluzionario, portato avanti dal PKK (partito dei lavoratori del Kurdistan), storicamente portavoce dell’indipendenza curda nella zona della Turchia, ma anche promotore di idee rivoluzionarie anticapitaliste, antistataliste, che non mirano solo alla liberazione e indipendenza di un popolo, ma alla costruzione di una società libera dai vincoli e dallo strapotere di una struttura statale, libera da strutture e dogmi sociali, religiosi, culturali che perdurano da molti secoli e che minano la libertà di ognuno, oltre ad avere in buona parte contribuito al consolidamento della società capitalista.

Questo progetto politico prende il nome di autonomia democratica, ed è stato adottato dal PKK dalla fine degli anni ’90, dopo una lunga serie di valutazioni che hanno portato a non ritenere valido per i propri scopi, e dunque per un’effettiva liberazione dei popoli, il sistema Statale marxista-leninista, a cui prima faceva capo. Il motivo della scelta da parte del partito di adottare e rendere propria questa idea è in parte espresso in una frase pronunciata da Ocalan, storico leader del PKK ora detenuto in un’isola prigione in Turchia, che dice:” Dal momento che il PKK si poneva come difensore della libertà, non potevamo continuare a pensare in termini di gerarchia”. E’ evidente come il progetto si fondi su basi libertarie. Nella sua struttura, a livello locale basata sull’autogoverno di provincie più o meno ristrette e a livello generale, nella sua forma di Confederalismo Democratico, su un’assemblea composta da rappresentanti delle autonomie locali eletti tramite democrazia diretta, si può avere già un primo esempio di questo aspetto. L’assenza di poteri gerarchizzati e istituzionalizzati è evidente anche nella scelta di non creare nuclei di forze armate asserviti ad un controllo di tipo statale, ma unità di autodifesa popolare (come esempi basti vedere il YPG e il YPJ).

Importante è anche la fermezza che viene applicata nella difesa dell’ecologismo. Infatti il PKK muove forti critiche al rapporto che il sistema capitalista ha con la questione ecologica, rapporto contraddistinto da un relazione di sfruttamento tra soggetto e oggetto.

Sempre riallacciandosi alle questioni culturali e sociali, altro punto focale della lotta del PKK è la totale avversione alle logiche patriarcali che hanno da diversi secoli contaminato gli aspetti culturali e sociali della vita di ogni popolo. Per questo la donna assume un ruolo fondamentale nella struttura di questa società. Vengono del tutto appianate le differenze create da un impianto culturale vecchio millenni e fondato su dogmi e preconcetti ovviamente ingiustificati e deleteri per la creazione di una società veramente libera. Inoltre è fortemente rimarcato il concetto per cui l’asservimento della figura femminile, contro cui l’autonomia democratica combatte, non debba essere ridotto, come spesso accade, a una questione relativa alla sfera del privato, ma debba anch’esso essere considerato parte dell’impianto sociale stesso. Per questo l’importanza della donna fa in toto parte del progetto politico in ogni suo aspetto.

E’ adesso forse più semplice capire che l’importanza di Kobane non sta solo nell’eroica lotta che sta combattendo contro un nemico comune di questo momento storico, l’ISIS, ma anche e soprattutto nella vera e propria rivoluzione che sta partendo da essa; una rivoluzione non relegata a vivere solo nel contesto di una piccola cittadina di frontiere devastata da una guerra continua e dal fascismo Turco, ma che vuole estendersi oltre i confini di un’ipotetica nazione curda (priva di Stato), partendo dal territorio mediorientale, da sempre colpito senza alcun ritegno dall’Occidente, emblema e fondatore, in un certo senso, della società a cui l’autonomia democratica si oppone. Kobane è in questo momento un vero e proprio simbolo rivoluzionario, ed è per questo, oltre che per la questione umanitaria di base, che le organizzazioni e i gruppi si muovono costantemente in suo aiuto.

Per sostenere la resistenza e il progetto (di cui sopra) del popolo curdo, Aleph Catania ha deciso di prendere parte attivamente alle campagne di raccolta fondi.

A livello internazionale vengono organizzate iniziative a sostegno di Kobane, e sulla scia della campagna nazionale per la ricostruzione di Kobane, a Catania, sotto la firma di “Catanesi solidali con la resistenza curda”, come militanti e attivisti di varie realtà politiche della città abbiamo organizzato e stiamo portando avanti una serie di iniziative che culmineranno con un’assemblea e un concerto a Palestra Lupo il 4 Ottobre, i cui proventi saranno impiegati nella costruzione a Kobane di un ospedale, della scuola “Antonio Gramsci” e della Casa Delle Donne.