Archivi tag: Catania

Senza casa non si può studiare

Quella del 17 novembre è stata per il Koordinamento AutOrganizzato Studnetesco una giornata ricca di importanza.

Il passaggio che come studenti siamo riusciti a mettere in campo è stato sicuramente nuovo: ci siamo sentiti in dovere di intrecciare la nostra lotta a quella delle famiglie in emergenza abitativa.

Nella giornata del 17 novembre, giornata internazionale del Diritto allo Studio, ci è sembrato quantomeno doveroso tornare in piazza: a più di settant’anni da quel lontano 17 novembre che vede morire 9 studenti insieme ai loro insegnanti, ci sentiamo accomunati a loro più che mai.

Lottiamo ancora per un’istruzione che sia pubblica, che sia alla portata di tutti. Lottiamo ancora per un Diritto allo Studio che stanno cercando giorno dopo giorno di toglierci: la “Buona Scuola” e il nuovo calcolo Isee sono solo i due grandi esempi delle violazioni dei diritti che il mondo dell’istruzione è costretto a subire.

Come studenti e studentesse non possiamo in nessun modo accettare che il Governo effettui tagli sulle nostre spalle: non possiamo accettare di essere pedine del mercato del lavoro sin dai 14 anni.

Ci tolgono i diritti, ma come li tolgono a noi, li stanno togliendo a tutte le famiglie che, al giorno d’oggi, si trovano a dover vivere per strada perché non possono permettersi un affitto: con l’approvazione del Piano Casa di Lupi, chi è un occupante, inevitabilmente viene privato della dignità. Non si ha diritto a luce ed acqua ma, cosa più importante, non si ha diritto neanche ad una residenza, e quindi non si può più neanche andare a scuola. “Senza casa non si può studiare”, è stato il motto di questa grande manifestazione che ha visto mettersi in gioco non solo gli studenti, ma anche le famiglie e persino dei giovanissimi bambini occupanti.

E’ stato chiesto a gran voce che ci venga ridato tutto quello che ci stanno togliendo: casa, istruzione e dignità.

E’ stato chiesto alle stesse istituzione a cui da 20 anni molte  famiglie chiedono una casa, alle stesse  istituzioni a cui noi chiediamo scuole sicure, che non ci cadano in testa. Anche in questo ci sentiamo accomunate con i nuclei familiari occupanti: le istituzioni sono sorde alle loro richieste, come lo sono alle nostre.

E allora, ci siamo detti, non basta forse tutto questo per intrecciare le nostre lotte?

Non basta questo per dire che non ha senso poter studiare, se poi non abbiamo un tetto sotto cui tornare?

Lo abbiamo promesso, tutti insieme: ci tolgono i diritti, noi ci riprendiamo tutto.

Eppure il 17 novembre non è solo un giorno in cui si ricordano i diritti, ma anche in cui si ricordano i doveri: essere antifascista infatti, per noi, è un dovere.

“Ieri partigiani, oggi antifascisti”, cita uno striscione che è stato appeso durante la manifestazione.

Oggi ci sentiamo in dovere più che mai di ricordare che quei 9 studenti furono uccisi dai nazisti che cercavano di reprimere ogni tipo di libertà. E come loro lottavano decenni e decenni fa contro l’oppressore, così oggi noi lottiamo contro chi inneggia ad una guerra tra poveri, con chi si riempie la bocca di affermazioni razziste, sessiste ed omofobe. Contro chi continuamente  reprime con atti di ingiustificata violenza sommaria immigrati ed omosessuali,”, solo perché è più facile prendersela con chi è “diverso”, solo perché le parole “uguaglianza” e “libertà” a chi vive una vita all’insegna dell’odio, fanno paura.

A noi però non fanno paura, ma riempiono di gioia: parliamo di Libertà e di Uguaglianza, e le pretendiamo, esattamente come pretendiamo i nostri Diritti.

Per strada non si può dormire, se la casa non ce la danno ce la prendiamo!

12191952_1623242971258652_3161198253244570892_n

Gli effetti della crisi stanno colpendo prepotentemente molte fasce sociali che, ad oggi, si ritrovano in grave difficoltà economica. Difficoltà che, sicuramente, ricadono sull’emergenza abitativa: le famiglie non riescono ad arrivare a fine mese ed il 40% del budget familiare, in media, è speso per pagare l’affitto.

I dati del Ministero degli Interni parlano chiaro: sul territorio nazionale gli sfratti aumentano in percentuale di anno in anno. Nel 2014 sono stati 69.015 gli appartamenti dovuti lasciare per morosità. Le richieste di esecuzione presentate all’Ufficiale Giudiziario sono 150.076 e gli sfratti eseguiti con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario ammontano a 36.083.

Concentrandoci sulla sola provincia catanese sono allarmanti le percentuali di sfratti: nel 2014 più di 3112 richieste di esecuzione (14,58 % in più rispetto all’anno precedente), 943 gli sfratti eseguiti sul territorio catanese (6,58 % in più rispetto all’anno precedente) e il 95% di questi avviene per morosità incolpevole. Ma non solo, nel 2014, in controtendenza con le percentuali sopra citate, vi è una diminuzione di richieste di accesso ad ammortizzatori sociali, quali affitti agevolati o moratorie per sfratti, e di alloggi popolari. La controtendenza è da interpretare come una mancanza di fiducia verso istituzioni ed enti che non sono mai riusciti a dare una benché minima risposta all’emergenza. Al tempo stesso, amministrazioni ed enti non si curano dei bisogni e delle necessità delle persone, ma pensano sempre più spesso ad essere co-partecipi a giochi speculativi dall’immobiliare alle faraoniche opere inutili.

Come comitato di lotta per la casa Casa x tutti, da tempo ormai lottiamo quotidianamente per porre un freno al crescere dell’ emergenza abitativa. Bloccare sfratti, ritardarli è una pratica che abbiamo messo in pratica e che continueremo a ripetere, ma spesso non basta. Nonostante le pressioni fatte agli organi competenti, le migliaia di famiglie in emergenza abitativa non hanno trovato alcuna risposta.

Per strada però, non si può dormire. Ad essere messa in discussione è anche la dignità di chi per impossibilità economica, si ritrova, da un giorno all’altro in mezzo ad una strada.

Che fare quindi? Come rispondere alla negazione di un diritto fondamentale?

Oggi, per noi, occupare non è solo giusto, ma necessario!

Con 13mila nuclei familiari che avrebbero bisogno di una casa, di cui la metà in emergenza, non possiamo tollerare che vi siano altrettanti, e forse più appartamenti lasciati vuoti.

Il gioco è semplice: le imprese immobiliari comprano gli stabili, li lasciano vuoti ed attendono che il crescere della richiesta faccia salire i prezzi.

Non possiamo accettarlo!

Abbiamo deciso di ridare vita ad un palazzo vuoto ed al tempo stesso riprenderci una dignità ed una speranza negata.

Questa pomeriggio in circa 30, tra famiglie e singoli, in emergenza abitativa abbiamo deciso di trovare casa nello stabile di via Calatabiano 49. Una palazzina di proprietà dell’impresa immobiliare Fincob srl lasciata da anni in stato di abbandono, come migliaia di altri edifici in città, all’interno di uno dei quartieri storici di Catania, il Borgo. Con l’occupazione a scopo abitativo dello stabile di via Calatabiano 49, vogliamo oltre ad una casa, denunciare non solo gli affari speculativi dei privati con la complicità delle amministrazioni pubbliche, ma anche i continui fallimenti delle politiche socio-abitative del Comune.

Se possono, oggi, i movimenti di lotta per la casa ridare nuova linfa alla lotta al capitalismo e creare nuovi conflitti che facciano emergere le contraddizioni che viviamo quotidianamente spesso in sordina, è una scommessa tutta da giocare. Il nostro però non è affatto un gioco, né tanto meno un insieme di numeri e bilanci. La nostra è una lotta per un presente diverso, è sottrarre le nostre vite al giogo del capitale.

Questo, è il nostro 7 novembre, con un occhio al passato ed uno al presente, nella certezza che il futuro la nostra controparte se lo dovrà sudare.

Invitiamo tutti e tutte a raggiungerci sin da subito in via Calatabiano 49.

Per la giornata di domani è fissato un “Pranzo solidale” per tutti coloro i quali vogliano sostenere la causa.

Lunedì 9 novembre, alle ore 10:00 si terrà, invece, una conferenza stampa del Comitato, di fronte l’immobile.

Comitato di lotta per la casa Casa X Tutti

 

 

 

KAOS Catania, prospettive per l’autunno di lotta

12119129_762203497240881_5476041730954479_n

Antifascismo ed autorganizzazione sono le due parole chiave che, sin da quando nasce, hanno accompagnato il Koordinamento AutOrganizzato Studentesco in ogni suo percorso di lotta.

Oggi, che ottobre sta per volgere al termine, e si aprono, col mese di novembre, nuove prospettive di lotta, ci sentiamo in dovere di sottolinearle ancora una volta e di spiegarle ancora.

Questo primo mese che abbiamo attraversato con due manifestazioni, 9 e 17 ottobre, ci ha fatto ben sperare sull’anno che viene: migliaia e migliaia di studenti hanno riversato la loro rabbia per le strade di Catania, determinati a difendere le proprie scuole e il proprio diritto allo studio. Cori, sanzionamenti di banche, macerie lasciate davanti al Comune, sono tutti gesti simbolici ma forti di chi vive un disagio vero sulla propria pelle e ha bisogno di manifestarlo. Siamo nel 2015 e la disillusione che caratterizza gli studenti la sentiamo tutti. Nonostante questo riteniamo che le forme di protesta delle quali ci avvaliamo, che siano una manifestazione, un’occupazione di una scuola o una semplice autogestione, non abbiano in alcun modo perso la loro validità, come spesso siamo portati a pensare.

E queste due manifestazioni ci portano a crederlo con maggiore convinzione: le piazze dentro cui stiamo sono piazze che non hanno mai avuto, e mai avranno, paura di parlare di “conflitto” nella sua forma più genuina, un conflitto che racconta di autorganizzazione e di antagonismo, un conflitto che racchiude tutte le frustrazioni e le umiliazioni che siamo costretti a subire da questo sistema che ci opprime sin dalla scuola, che ci vuole schiavi e ignoranti, che ci vuole sfruttati sin dalla giovanissima età. Un conflitto che ci porta sotto il Comune di Catania, che ci porta davanti alle banche, quelle stesse banche che dettano l’agenda politica governativa, che poi grava sulle nostre spalle e su quelle, già abbastanza cariche, dei nostri genitori.

Nessuna forma di assistenzialismo, di beneficenza, di volontariato ci appartiene: non siamo noi a dover sopperire alla mancanze e ai buchi neri che lo Stato, o chi per lui, lascia nella società. Noi siamo lì a ricordare che abbiamo DIRITTO alla scuola pubblica, DIRITTO alla casa, DIRITTO al reddito, e DIRITTO alla dignità. E lo abbiamo ripetuto più e più volte: quello che non ci danno, ce lo riprenderemo, pezzo per pezzo, scuola dopo scuola, casa dopo casa.

Non staremo mai in piazza con chi non sa fare di meglio che fare il tirapiedi del politicante di turno, con chi appoggia lo scellerato governo Renzi, con chi firma accordi altrettanto scellerati a scapito di studenti e lavoratori: la forma del sindacato non ci appartiene, tanto meno ci appartiene quella del partito. Autorganizzazione vuol dire ripartire dal basso, rendersi conto di quali sono i veri bisogni e le vere necessità degli studenti e, passo dopo passo, ottenere tutto quello che ci spetta di diritto.

Non staremo mai in piazza con chi aizza e si auspica una guerra tra poveri, con chi si sbraccia per dire “prima gli italiani”, con chi reputa esseri inferiori immigrati, donne e omosessuali.

L’antifascismo è un valore, i partigiani ce lo insegnano, e noi di quegli insegnamenti ne facciamo una lotta quotidiana, ne facciamo un antifascismo vero e militante, che sta in prima linea contro il Salvini di turno, e contro tutti quei gruppuscoli neofascisti che ci ritroviamo a contrastare in città. Un antifascismo che sta in prima linea contro omofobia, razzismo e sessismo, che difende la libertà d’espressione, di movimento e di orientamento sessuale.

Autorganizzate ed antifasciste saranno le piazze che costruiremo a Novembre, a Dicembre e in tutti i mesi a venire, antifascista è ogni lotta che attraversiamo, e l’autorganizzazione il modo per portare avanti le nostre lotte.

PARTECIPA, AUTORGANIZZATI, LOTTA

“FareTerritorio”: un tentativo di definizione

10478715_857940150965219_8934904766179502701_n

Tempo fa abbiamo iniziato un percorso, “Io Resto per Fare Territorio”, intendendolo non solo come una conricerca o uno slogan ma come un vero e proprio tema politico da sviscerare, a partire dalla nostra esperienza politica. Infatti, da semplice indagine su come i militanti di diverse realtà antagoniste siciliane vivono il fenomeno migratorio di casa nostra, siamo arrivati all’esigenza di chiarire cosa per noi significa “rimanere” per “fare territorio”. E non è semplice, naturalmente, ma sentiamo che uno sforzo definitorio vada fatto.

“Fare territorio” parte dal concetto di resistenza come esigenza. Infatti per noi oggi rimanere al Sud, nel nostro caso in Sicilia, non seguendo il continuo flusso migratorio interno, è certamente un atto di resistenza. Ci sono nemici che sono comuni ovunque nel mondo, ma dirsi anticapitalisti, nel senso più ampio del termine, è forse una cosa che serve anche se scontata. Perché se è vero che il sistema capitalista ha una natura eminentemente economica, è vero anche che esistono capitalismi sociali e politici non da meno, e non meno pericolosi. Sentirsi anticapitalisti quindi non può essere legato solo ad un’analisi prettamente economica, che parli esclusivamente in termini di profitti monetari e accumulazione di capitale, ma anche e soprattutto ad un intervento politico e sociale nei territori, che vada ad aggredire non solo il capitale ma anche quei giochi di potere politico-mafiosi tipici di casa nostra che reprimono, indiscriminatamente, abituando alla sottomissione.

I territori rimangono per noi il campo principale della nostra resistenza, luogo da cui nasce e in cui si riversa questa esigenza. L’esperienza movimentista dentro al movimento NoMuos e i campeggi in Val di Susa, ci hanno insegnato che i territori sono di chi li abitano. Anche in questo caso, uno slogan è diventato un progetto, un modo di agire sull’esistente, partendo dalla propria terra, dai propri contesti. “Territorio” diventa il quartiere in cui si abita, le scuole e le università che si frequentano, i (tanti e vari, spesso vacui) luoghi di lavoro precario e sottopagato. Questo il nostro territorio, al di fuori dai contesti rurali dei movimenti territoriali a cui siamo legati, questo il terreno da cui nasce e si sviluppa la nostra esigenza di resistere. Sovvertire quella che sembra, anche se così non è, la naturale tendenza ad essere sudditi e soggetti passivi alla pressione economica, sociale e politica che viene da palazzi, borse e governance, è un passo che necessariamente ha a che fare col concetto di autorganizzazione, intesa come partecipazione, comunità vissuta e condivisa, prima forza motrice del cambiamento e della creazione di “altro”, partendo proprio dai propri territori quotidiani. Curarsi di una piazza, porsi il problema della formazione ricevuta, capire la distribuzione dei profitti all’interno di un contesto lavorativo, sono tutti passi che portano a pratiche di vera e propria riappropriazione, rottura del rapporto “oppresso/oppressore”, quindi della routine quotidiana fatta di servilismo, e che vedono spazi liberati e occupati, luoghi di formazione vibranti di autoformazione e condivisione dei saperi, luoghi di lavoro gestiti dagli stessi lavoratori. Sì, perché chi meglio dell’abitante di un quartiere, di uno studente o un lavoratore può capire quali sono le esigenze del proprio “territorio” di riferimento? Il primo atto di resistenza è dunque mettersi in comune, rompere la gabbia dell’isolamento e creare comunità, contrapposta all’atomismo e alla futilità di rapporti basati su mere facciate estetiche e profitto. Mettere in comune i bisogni, rispondere in maniera collettiva ad essi, sono passaggi che alimentano, almeno per noi, il concetto di autonomia, intesa come consapevolezza e pratica. È quella che porta, in assenza di case popolari, ad occupare gli sfitti e ritenerli non solo come casa propria, ma come la rappresentazione fisica del rifiuto al mercato degli affitti che specula sull’indigenza, sempre in nome dell’accumulazione di capitale da parte di pochi, pochissimi. E’ la stessa consapevolezza che porta a rifiutare il meccanismo schiavista del lavoro salariato, scavalcando anche i grandi e immobili sindacati, diventati l’idrante puntato sui lavoratori di ogni tipo, pronti ad entrare in funzione ad ogni minimo accenno di conflitto (quando non firmano accordi omicidi ovviamente); è la stessa forza che porta gli studenti a ragionare sul concetto di autoformazione, senza aspettare che un ministro di turno miracoli il mondo della formazione, rendendo i saperi liberi dai profitti.

Nella rottura di queste gabbie, nello sviluppo di autonomia nelle forme di opposizione e resistenza, nella partecipazione alla vita in comune: è qui che si trova “l’altro”, l’alternativa. È qui che trovano spazio tutti gli “-anti” che spesso vengono utilizzati, e che anche noi utilizziamo. L’ antifascismo su tutti è quell’ -anti che ci sentiamo di sottolineare di più al momento. L’ antifascismo non è solo opinione, è pratica, è militanza. Memori della Resistenza sappiamo che nessuno spazio di agibilità va lasciato ai fascisti, né fisico né comunicativo, e che ogni mezzo è necessario affinché si possa fermare l’avanzata di nostalgici del regime. Un “-anti” che racchiude una visione di relazione umana che preserva la diversità e la rispetta, che promuove l’accoglienza e le società meticce, che rende le persone libere di definire le proprie appartenenze sessuali come meglio credono.

È questo un punto di vista che si rifà molto alle nostre esperienze di movimento, che richiama molto i processi dei “no costituenti” e che vede proprio nella scelta movimentista il miglior modo per esprimere e praticare autonomia e autorganizzazione in ottica antagonista. Non vediamo alcuna prospettiva in esperienze politiche come Syriza e Podemos. Questo non significa rifiutarsi a priori di aprire analisi e ragionamenti o un confronto con questi attori; significa però che forme organizzative di questo tipo non le consideriamo una pratica politica attuabile, come non le consideriamo avulse da quel legame del potere con il potere che decide a scapito della pelle di centinaia di migliaia di persone. Ed è questo un passaggio a cui, in quanto “terroni”, siamo particolarmente legati. Perché in un contesto in cui l’oppressione non viene solo dal sistema economico, ma è abilmente assistita da Stato e malavita, porre l’accento sui concetti di autonomia e autorganizzazione, contrapposti alla rappresentanza degli interessi, è un punto cruciale. Infatti, spazzata via dalla memoria collettiva quella parte di storia che vede il popolo siciliano, e non solo, protagonista di un tentativo di riscatto, l’andazzo generale è sempre stato quello di vedere la Sicilia, ma anche in resto del Sud come un bacino da cui attingere, pieno di pedine da poter spostare e sfruttare a seconda delle contingenze. Ecco perché abituare la gente a vedersi e mostrarsi come “soggetto passivo” è stato fondamentale per sedimentare diversi tipi di poteri e oppressioni: se non è lo stato, è la mafia e finanche la chiesa. Tutti attori che si pongono in ottica dominante e relegano gli altri a ruolo di “assistito”, perennemente sotto ricatto, sovrastato. La ricerca di rotture e la creazione di conflitto, facendo attenzione al “come” questo si raggiunge e si sviluppa, è dunque fondamentale per noi, perché significa aspirare ad un cambiamento totale, che non veda solo il ribaltamento dei rapporti di forza.

Come dicevamo all’inizio di questo lungo ragionamento, “fare territorio” è per noi resistenza, è una continua sperimentazione, passibile di cambiamenti e, soprattutto, in cerca di confronto.