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KAOS in Antico Corso – 14 settembre

Si apre, con l’arrivo di settembre, un nuovo anno di lotta per il Koordinamento AutOrganizzato Studentesco, un coordinamento che vede riunirsi al suo interno Collettivi di studenti medi ed universitari, e che pone le sua basi ideologiche e politiche su due pilastri: autorganizzazione ed antifascismo.

Quest’anno si prospetta, sin da adesso, un anno molto particolare per il macromondo dell’istruzione: se è vero che la “Buona Scuola” è ormai diventata legge, è anche vero che il malcontento che la prima ondata di assunzione dei docenti precari ha messo in campo crea inevitabilmente nuovi orizzonti alle nostre prospettive di lotta: anche stavolta pare evidente che le ondate di protesta che hanno accompagnato l’iter burocratico del DL Buona Scuola, tutti i torti non avevano a dire che la nuova riforma non tiene minimamente conto di quelle che sono le necessità di studenti e docenti.

La stessa scia di disinteresse segna quello che è il tavolo di discussione su “la buona università”, che mette in campo un’ulteriore impoverimento dell’insegnamento accademico, surclassando ancora il ruolo dei ricercatori, e legando con un filo ancora più stretto il mondo dell’università e quello del lavoro, ponendo sin da subito lo studente in un’ottica lavorativa, imprigionando i saperi che giornalmente facciamo nostri in una gabbia di profitto e sfruttamento, spesso e volentieri slegata totalmente da quel fantomatico lavoro che “vorremo fare da grandi”, privando lo studente della libertà di fruizione delle proprie conoscenze.

Sta a noi, studenti di oggi, dare una risposta forte e chiara a chi, seduto sulle belle poltrone di velluto rosso, sposta fondi e docenti come fossero pedine in giro per l’Italia.

Siamo più volte scesi in piazza dietro striscioni che citavano “La buona scuola siamo NOI”. Ebbene, questo sembra essere sempre più vero, giorno dopo giorno.

Siamo noi quando giornalmente viviamo i nostri spazi all’interno di scuole ed università, autogestendoli. Siamo noi quando ci auto organizziamo per sopperire a tutte quelle mancanze che ogni studente ogni giorno percepisce e che non fanno altro che diminuire la fantomatica “offerta formativa” di cui tanto si parla.

Siamo noi quando decidiamo di uscire fuori dalle mura scolastiche, e ci rendiamo conto che le grandi mancanze che ogni giorno viviamo sulle nostre spalle, non sono altro che le mancanze di un singolo “settore” della società. Ci rendiamo conto che noi, studenti le cui scuole crollano, non siamo tanto distanti da un abitante di un quartiere popolare, costretto a vivere in una dimensione in cui mancano servizi, parchi giochi per bambini, semplici spazi di socialità, né tanto meno lo siamo da una famiglia sotto sfratto, che ogni giorno resiste per poter rimanere a casa propria.

Da qui l’idea di inserire la prima Assemblea di Koordinamento all’interno dell’iniziativa del Centro Sociale Liotru “Tuttu u munnu è quatteri”, una cinque giorni di lotta in quartiere.

In un primo momento verranno portate avanti delle iniziative di lotta in tutte le scuole e le università del quartiere: troviamo infatti assurdo vivere la realtà scolastica come una cosa avulsa ed alienata dal quartiere in cui è collocata, quando invece dovremmo molto di più sentirci parte di quella che è la realtà sociale dell’Antico Corso.

E così poniamo l’accento sull’istruzione, e su come anche le scuole e le università percepiscano l’abbandono e la mancanza di servizi in quartiere.

Torneremo poi al Centro Sociale Liotru per la prima assemblea dell’anno del Koordinamento, dove discuteremo, a fronte delle due assemblee nazionali di studenti medi ed universitari, le prospettive di lotta dell’autunno che si prospetta davanti a noi.

Partecipa, autorganizzati, lotta!

Koordinamento AutOrganizzato Studentesco KAOS, il coordinamento dei Collettivi

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“Tuttu u munnu è quatteri” – 10/15 settembre

 

Nei tempi bui dell’allarme sicurezza, Catania viene tagliuzzata dal bisturi di zelanti forze dell’ordine che diffondono dei depliant per turisti nei quali sono indicati i luoghi “sicuri” di questa città, ma soprattutto quelli decisamente da evitare. Un’improbabile gincana condurrà i turisti più temerari nel ventre del sicuro centro storico, cancellando dal loro percorso e dalla mappa stessa della nostra città intere aree e molta della storia catanese. Ma mentre quest’ allarmismo delle vacanze viene strillato ai quattro venti, la nostra attenzione si concentra ancora sulla condizione strutturale di marginalità alla quale i quartieri sembrano essere ineluttabilmente destinati. Se da un lato infatti le amministrazioni adottano quel metodo sempreverde di “nascondere la polvere sotto il tappeto” e strizzano l’occhio alle forze dell’ordine, dall’altra appare sempre più evidente che i quartieri esprimano problematiche ed esigenze specifiche non silenziabili.

Noi dalla nostra parte scegliamo di vivere il quartiere senza appellarci a pozioni magiche ma con la piena consapevolezza che la partita in gioco nei quartieri è la partita in gioco della città tutta intera, dai suoi “confini” alle poltrone dei suoi palazzi. Quasi un anno è passato dall’occupazione del Centro Sociale Liotru nel quartiere popolare Antico Corso. Mesi densi di iniziative quotidiane, dal semplice volantinaggio al doposcuola popolare, dalle feste in quartiere fino alle presentazioni di libri, all’attivazione di uno sportello contro gli sfratti e all’Arena estiva in una delle piazze principali del quartiere. Il Centro Sociale Liotru in meno di un anno è riuscito nell’ intento di affacciarsi alla realtà dell’Antico Corso e lo ha fatto, come sempre, dal basso, allacciando rapporti con gli abitanti del quartiere: dai commercianti della zona alle le famiglie e gli studenti, dai più piccoli ai più grandi.


Durante l’ultima iniziativa, l’Arena all’antico corso, svoltasi nella piazzetta dei miracoli con la collaborazione del chiosco, storico punto aggregativo nel quartiere, nasce l’idea di una 5giorni che sapesse miscelare bene la voglia di opporsi ad un sistema che opprime e produce sfruttamento in un mix di festa e conflitto. E’ così che nasce “Tuttu u munnu è quatteri: fare comunità per rispondere alle necessità”. Cinque giorni di iniziative, dal 10 al 14 settembre, organizzate dal Centro Sociale per e con il quartiere e la città.

Nel momento in cui l’amministrazione decide di ignorare un’ ampia e popolosa fetta di città, abbiamo deciso di puntarvi addosso i riflettori, contrapponendo all’incuria e alla negligenza, alla chiusura di scuole, alla negazione di spazi di aggregazione, socialità e sport la pratica della riappropriazione collettiva, nella sicurezza che è proprio dentro i quartieri popolari che si vive lo spazio della lotta. Il tasso di povertà cresce senza sosta, gli sfratti per morosità dilagano, i tagli e la progressiva privatizzazione dell’istruzione pubblica sono ormai una costante, molti servizi basilari sono ormai inesistenti. In una Catania dove bruciano i campi rom, dove i soldi si trovano solo in campagna elettorale, per progetti speculativi o per l’acquisto di nuovi mezzi alle forze dell’ordine, in una Catania in cui le amministrazioni di destra e sinistra si sono sempre riconfermate incapaci, distanti e colluse a micro e macro criminalità: sentiamo il bisogno di coltivare dal basso esperienze aggregative di lotta, di autorganizzazione, di socialità, per costruire insieme, in comunità, la risposta a quelle che sono le nostre necessità di prim’ordine. Nei quartieri popolari, nelle università, nelle scuole, nelle strade e nelle piazze, costruiamo pezzo dopo pezzo un’ opposizione reale alla politica istituzionale, che si rivela ogni giorno più incapace e parassita ed al sistema di sfruttamento che il capitalismo impone.

Quello di cui abbiamo bisogno ce lo prendiamo da soli, collettivamente.

E’ dunque in questa cornice che si inserisce “Tuttu u munnu è quatteri” all’Antico Corso: cinque giornate che vogliono riportare il conflitto, l’autogestione e la voglia di fare comunità per le strade dell’ Antico Corso.

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Resistenza Quotidiana

Come ogni anno ritorna il 25 aprile e tutto quello che comporta. A Catania questo significa tante cose: sigle che, assenti per tutto il resto dell’anno, si scrollano di dosso la naftalina ed escono fuori dalle rispettive sedi; appuntamenti per ricordare quello che è successo nel 1945 e cosa è stato il fascismo in Italia e non solo; assemblee per “gli addetti ai lavori” nel tentativo di ricomporre, almeno una volta l’anno, il grande ventaglio dei gruppi cittadini che, chi più chi meno, in ambiti diversi, portano avanti le lotte sociali a Catania.

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Come ogni anno quindi ci chiediamo che senso ha per noi il “giorno della liberazione”, nel tentativo di contestualizzarlo per evitare di vivere questa data come semplice commemorazione di quello che fu, rivivere la storia passata senza essere consapevoli di quella che viviamo nella contemporaneità del presente.

Siamo giovani, alcuni di noi vanno ancora a scuola, altri studiano all’università, alcuni sperimentano le nuove forme di lavoro precario sulla propria pelle, attraversando lunghi periodi di disoccupazione nera. Siamo giovani, come molti di quei partigiani che 70 anni fa hanno deciso di combattere il nazi fascismo con ogni mezzo possibile. La nostra generazione è una sorta di cavia da laboratorio che sperimenta giornalmente gran parte dei grandi cambiamenti del nostro tempo: le pazze riforme dell’istruzione che, dal 2008 ad oggi, sembrano essere un anno si e l’altro pure al centro dell’agenda politica nazionale; il delirio delle riforme che prendono nomi strani, come il Job’s Act, o la follia di sindacati che firmano accordi collettivi che riconoscono il lavoro gratuito come nuova forma contrattuale di lavoro (come hanno fatto in vista dell’EXPO); lunghi periodi di disoccupazione in cui anche arrivare all’indomani è un’impresa; l’approvazione di leggi come quelle dello Sblocca Italia che non solo depenalizza i reati ambientali, ma spalanca le porte, con tanto di tappeto rosso in terra, alla devastazione e la speculazione del territorio. Siamo la generazione della crisi economica, questo mostro invisibile eppure sempre presente, in nome del quale sono state varate, e continuano ad esserlo, le più devastanti misure economiche che hanno delle ripercussioni sociali pesantissime, che persino noi che ne parliamo spesso non sappiamo ben quantificare. Viviamo il tempo in cui la libertà di movimento è garantita solo a chi nasce “al nord del mondo”, perché se sei siriano, nigeriano, egiziano e vuoi spostarti per migliorare le tue condizioni di vita, scappando da fame e guerra, allora devi fare i conti con chi lucra sul tuo disagio, affrontare il mare aperto e riuscire a sopravvivere. Siamo anche la generazione della storia che si tenta di cancellare, che raramente riesce a conoscere a fondo la storia contemporanea di cui siamo figli e che, se per caso ci arrivano, devono riuscire a sopravvivere al revisionismo storico di casa nostra che tenta, da qualche anno, di cancellare e riscrivere quello che è realmente stato il fascismo in Italia e cosa è stata la liberazione da quell’epoca grigia.

Siamo giovani come quei partigiani che 70 anni fa sono nati e cresciuti in un’epoca in cui la libertà era una visione, un sogno, qualcosa di indefinito di cui si sapeva qualcosa solo grazie alla memoria dei più grandi. Proviamo giornalmente a leggere il presente e mettiamo in comune rabbia, disagio, paure e forze. Nelle scuole, nelle università, negli spazi che occupiamo, nei quartieri che impariamo ad abitare, ci misuriamo giorno dopo giorno con le nostre difficoltà e soprattutto con quelle degli altri, che subiscono, seppur in maniera diversa, con la stessa ferocia i colpi di quelle decisioni prese in palazzi sempre più distanti. Per questo ci sentiamo resistenti ogni giorno, quando gridiamo il nostro no alla Buona Scuola, quando ci opponiamo al Job’s Act, quando subiamo la repressione indiscriminata del potere politico, quando andiamo in Val di Susa o a Niscemi. Siamo resistenti quando ascoltiamo e tentiamo di dar voce alle storie di vita dei quartieri in cui viviamo, quando arriva una nuova famiglia allo sportello antisfratto, quando apriamo una palestra popolare gratuita, quando facciamo il doposcuola in quartiere. Siamo resistenti quando accogliamo i nostri fratelli e le nostre sorelle che, partiti dall’Africa, affrontano il mare aperto per raggiungere le nostre coste, quando parliamo di meticciato, corridoi umanitari e solidarietà attiva in contrapposizione all’indifferenza europea, noncurante delle tragedie che settimanalmente si susseguono nel nostro Mar Mediterraneo, divenuto tomba silente di migliaia di persone.

Soprattutto siamo resistenti quando, a vent’anni, decidiamo di rimanere nella nostra città, nella nostra terra, quando tanti amici coetanei decidono, o sono spesso obbligati, a partire. Rimaniamo perché andare via significherebbe darla vita a quel malaffare politico che ci governa, di qualsiasi colore, più o meno democratico, sia; significherebbe lasciare spazio al potere mafioso che governa nelle diverse parti della nostra terra, con strumenti sempre diversi e sempre più pervasivi; significherebbe sradicarsi e perdere parte di quella identità che ci accomuna, che ci rende comunità.

Questo è, molto semplificato, il contesto che viviamo e in cui ci chiediamo come attraversare questo 25 aprile. Come sempre abbiamo fatto ci prendiamo la responsabilità delle nostre decisioni, più o meno popolari. Questo nostro 25 aprile non sarà né con l’ANPI né con la piattaforma alternativa de gli “Antifascisti Catanesi” perché se siamo resistenti ogni giorno allora il nostro 25 aprile non può essere condiviso con chi, per tutto il resto dell’anno, difficilmente riusciamo ad incontrare e condividere percorsi di lotta reali.

Non andiamo oltre e ci avviciniamo a questo 25 aprile per quello che siamo, resistenti nella nostra città, partigiani della contemporaneità.

Il 25 aprile per noi non è commemorazione. Il 25 aprile per noi è Resistenza Quotidiana.

#IoResto per #FareTerritorio

27F ancora un NO alla BuonaScuola

Il 3 marzo verrà presentato in parlamento il decreto de “la Buona scuola” del governo Renzi. Privatizzazione, presidi sceriffi ed alternanza-scuola lavoro sono solo alcune delle parole d’ordine che la riforma Renzi-Giannini mette in campo per rivoluzionare il mondo dell’istruzione. Per questo il 27 febbraio, data nazionale di mobilitazione studentesca, gli studenti catanesi si sono mobilitati, ognuno davanti alla propria scuola, con striscioni, fumogeni e megafoni per manifestare ancora una volta il loro dissenso verso questa nuova riforma che pare non tener conto né degli studenti né dei docenti, ma inaridisce e sfrutta l’intero mondo dell’istruzione.

Come studenti non ci siamo fermati con le mobilitazioni del fantomatico autunno caldo ma continuiamo giornalmente a combattere per ottenere una scuola che sia realmente a misura di studente.

Koordinamento AutOrganizzato Studentesco

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