Noi NON proietteremo i mondiali 2014

Si avvicinano i mondiali di calcio 2014 e son tutti pronti a mettersi davanti la tv con la mano sul petto intonando l’inno della propria nazione.
Se poi si svolgono in Brasile, terra di sole, mare e brio e naturalmente terra in cui la gente sembra fatta apposta per giocare a pallone, si prospetta uno scenario bellissimo.
Ma cosa si nasconde dietro questo scenario idilliaco?
Già dall’anno scorso molte città brasiliane sono state protagoniste nelle piazze contro il governo di Brasilia, accusato di avere aumentato del  7 per cento il costo dei trasporti pubblici, e di avere sostenuto troppe spese per l’organizzazione di due grandi eventi sportivi – i Mondiali 2014 e le Olimpiadi 2016 – sacrificando così gli investimenti in altri settori come la sanità e l’istruzione. La spesa totale, finora,è stata di circa 7 miliardi di reais, 2,5 miliardi di euro: quasi tutti soldi pubblici, nonostante la promessa di un coinvolgimento del settore privato quando i Mondiali vennero assegnati al Brasile nel 2007. La cifra complessiva è già il triplo del totale speso dal Sudafrica per organizzare i Mondiali del 2010. L’Economist ha scritto che nei piani iniziali i soldi pubblici dovevano servire per i trasporti e la sistemazione degli spazi urbani. Molti dei lavori in quei settori sono stati avviati in ritardo o cancellati, viste le lentezze nel reperimento dei fondi e la priorità data agli stadi.

Quest’anno le manifestazioni dei movimenti sociali non sono cessate, nel corso della settimana, insieme a loro si sono ritrovati anche centinaia di indios di diverse tribù ed etnie, che attraverso una serie di iniziative chiedono l’avanzamento dei processi di demarcazione delle loro terre e la fine delle speculazioni e delle violenze dei latifondisti.

I movimenti indigeni, dei senzatetto ed i “No Coppa” hanno fatto sapere che le manifestazioni non si fermeranno.

La question1507888_10203195141589540_2120886347_ne abitativa è un problema che affonda le sue radici nella storia delle città, e ai problemi vecchi, alle vecchie logiche si è sommata una crescita esponenziale dei prezzi soprattutto in alcune favelas, quelle pacificate. I prezzi salgono e i lavoratori poveri non riescono a pagare l’affitto.
Lo scenario nelle favelas è aberrante:  la polizia entra e sgombera gli abitanti e senza alcun esitazione usa spray al peperoncino, lacrimogeni, manganelli e anche colpi di pistola su chiunque, come sempre nessuno è stato escluso nell’essere punito, nessun timore nel picchiare donne e bambini, nessuna vergona nell’intossicare con i lacrimogeni migliaia di persone inermi.  Sfrattati, picchiati e costretti a diventare profughi, diventare dei reietti ancora una volta.
Nelle favelas  tutto sa di sangue, paura e tanta rabbia.

Questo è il conto da pagare (e in buona parte già pagato) presentato per i Mondiali.
Se è vero che il calcio, come tutti gli sport, nasce per creare socialità e partecipazione allora di fronte a questi abusi non si può far finta di niente.
Fuori da quel campo costato milioni c’è chi ancora muore di fame, rivendica diritti e si oppone agli sperperi.
Da parte nostra  c’è la volontà di boicottare questa messa in scena.
Non possiamo accettare questo “silenzio-assenso”  di fronte alla costruzione dei “grandi eventi “.

Si accendano pure le luci degli stadi, resta il fatto che per noi il fischio di inizio è fuori: nelle strade e insieme a chi lotta.