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JOBS ACT: dove ci eravamo lasciati

Ci eravamo lasciati qualche tempo fa con uno studio approfondito del Jobs Act e delle sue conseguenze nel mondo del lavoro.

Oggi il Jobs Act torna a far parlare di sé, proprio perché in questi giorni è in discussione la legge delega al Governo che lo riguarda, ovvero quella legge che delega al governo tutta una serie di “poteri extra” che gli permetteranno, senza passare dal Parlamento in futuro, di attuare con altri atti legislativi il fantomatico Jobs Act.

Leggendo anche questo testo, sono saltati fuori altri bluff del governo Renzi… questa volta scritti in maniera esageratamente generica.

Ma andiamo per ordine.

Anche in questo caso, ci siamo trovati davanti 6 articoli, i quali toccano diversi punti nevralgici del mondo del lavoro: dalle tipologie contrattuali, agli ammortizzatori sociali, passando per la maternità.

L’articolo 1 (“Delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali”) riguarda appunto gli ammortizzatori sociali. Da un lato mettono mano alla CIG (Cassa Integrazione Guadagni) e dall’altro all’ ASpI (Assicurazione Sociale per l’Impiego). Per quanto riguarda il primo aspetto, si ridimensionano le possibilità di ricorrere alla CIG, (non è più permesso ricorrere ad essa per cessazione dell’attività dell’azienda); inoltre, si auspica per le piccole aziende che non possono accedere alla CIG una compensazione con i contratti di solidarietà (cosa già prevista fra l’altro) ma… non si prevedono ulteriori finanziamenti per i contratti di solidarietà. Della serie: so bene che i soldi non sono sufficienti però… io ti ricordo che esiste anche questo ammortizzatore, se ci arrivi usalo!

L’articolo 2 (“Delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive”) praticamente intende riordinare le agenzie del lavoro, mettendole sotto una unica grande agenzia. Bella idea. Peccato che sia anche questa una manovra a costo zero per cui si spaccia un semplice riordino come l’investimento del secolo per i servizi al lavoro e le politiche attive. L’Italia quindi continuerà a spendere lo 0.03 % del PIL contro lo 0.25% in Europa per questo tipo di politica. Grande contraddizione questa per il governo Renzi, che non fa altro che promuovere la Garanzia Giovane come la soluzione per la disoccupazione giovanile… ma poi non investe un euro per migliorare le agenzie del lavoro, “base” del grande disegno europeo per garantire i giovani.

L’articolo 4 (“Delega al Governo in materia di riordino delle forme contrattuali”) prevede il riordino delle forme contrattuali (fino ad oggi più di 40), con eventuale cancellazione di alcune di esse, ma prevede anche la possibilità di crearne delle altre, se servono. Introduce inoltre il contratto a tutela crescente, secondo cui un nuovo assunto, per i primi tre anni di lavoro, avrà un contratto con tutele al minimo storico: salario basso, tutele previdenziali e lavorative quasi nulle, sempre a rischio di licenziamento. Al termine di questo calvario, che può durare dai due a i tre anni, allora si raggiungono standard minimi di dignità, per cui il salario si rende pari agli altri, arrivano un pizzico di tutele in più. Alcuni lodano questo colpo di genio, che sa tanto di meritocrazia. Peccato che quello che non si dice sulle tutte crescenti è che, grazie alle decine di contratti atipici (a tempo determinato) e al Jobs Cct nuovo di zecca, arrivare a lavorare tre anni nello stesso posto di lavoro è davvero difficile. Ancora più difficile pensare che, allo scadere di questo primo periodo, effettivamente venga rinnovato un contratto con tutte le sacrosante tutele, compreso un salario decente, pari a quello degli altri. Perché, si sa, la scelta del datore di lavoro è quella che sa di risparmio. E un lavoratore appena assunto, grazie alle tutele crescenti, costa meno rispetto ad uno più “anzianotto”.

La chicca è l’ultimo articolo, il sesto, che mette un freno a tutte le belle parole: tutto questo è possibile farlo se non si prevedono ulteriori voci di spesa nel bilancio dello stato.

Eccoli i grandi investimenti del governo Renzi nel mercato del lavoro: un semplice riordino di carte, tagli agli ammortizzatori sociali e una mano (se non più) tesa agli imprenditori (poverini!) che sentivano ancora l’esigenza di meccanismi atti a pagare meno la forza lavoro e potersene liberare quando inizia ad essere un pizzico più cara.

Continua quindi la crociera del decreto delega tra Camera e Senato, anche se il buon Renzi ha deciso di dargli un’accelerata: il 1° gennaio tutto deve essere pronto per entrare in vigore.

Mentre attendiamo quindi le sorti di questo decreto e i futuri decreti attuativi, noi continuiamo a vigilare, studiare, informare… e scendere in piazza.

SE IL CENTRO STORICO VIENE TOCCATO

Da settimane a Catania si fa un gran parlare di violenza gratuita, spaccio, abusivismo, prostituzione, e chi più ne ha più ne metta. Solo gli ultras in questo momento si salvano, ma non ci sorprenderebbe se venissero tirati in ballo anche loro.

Tutto buttato lì in un calderone che persino la migliore strategia della tensione ne apprezzerebbe.

E così in tanti si indignano per lo stato della città, in tanti invocano polizia a protezione della sicurezza.

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Ma di quale sicurezza parliamo? Sicurezza di chi?

Non vogliamo qui screditare o non dar peso agli episodi di violenza accaduti nel centro storico. Vogliamo piuttosto dargli più peso rispetto le “letture” approssimative fatte da molti quotidiani locali, così come dall’ amministrazione, in cui la soluzione individuata, in maniera semplicistica e sbrigativa è “più sicurezza”.

La sicurezza richiesta a gran voce è la sicurezza del centro storico, che dev’essere bello all’ occhio, tranquillo ed accogliente per I turisti, i consumatori della movida e dunque  protetto da un ingente schieramento di forze dell’ ordine.

Non vogliamo qui esprimerci sull’ ovvietà del fatto che polizia e carabinieri non ci rendono più sicuri, considerando che in Italia “la divisa” è sopra ogni legge (vedi caso Cucchi, Aldrovandi, ed una lunga lista).

La domanda che vogliamo porci è “perchè?”.

Perchè esistono quartieri lasciati totalmente a se stessi, alla criminalità organizzata e disorganizzata?

Perchè a Catania l’evasione scolastica è tra le più alte in Italia?

Perchè donne, costrette o volontarie, si prostituiscono e nell’ illegalità rischiano tra un “pappone” violento e la galera?

Perchè abusivi, venditori o parcheggiatori, passano giornate all’ acqua, il sole, il vento nella speranza di fare qualche soldo?

In effetti, quali sono gli interventi strutturali ed effettivi fatte dalle istutizioni nei quartieri popolari? Dov’è e cosa è lo “Stato” a Picanello, Antico Corso, San Cristoforo, Librino (e la lista continua). Quando lo “Stato” si presenta in questi luoghi solo con una divisa e mai con un piano serio per garantire casa, lavoro, istruzione e servizi (dal trasporto alla sanità), come può essere garantita la dignità? Se le grosse spese vengono fatte per eventi come la visita della NATO a Catania, dove stanno poi le spese per il welfare? Non c’è da meravigliarsi poi se, in questa situazione, si creino condizioni in cui la rabbia, il disagio e la marginalità generano delle vere e proprie “guerre fra poveri”.

Forse non è noto il fatto che il 70% dei servizi sono forniti da associazioni di volontariato e gruppi autorganizzati che vivono i quartieri popolari della città; doposcuola, sport, recupero beni o aree verdi, cultura e arte, sbarchi degli immigrati nelle nostre coste, sono solo alcuni dei campi in cui si supplisce alle mancanze dell’amministrazione.

Noi non abbiamo tutte le soluzioni ma viviamo Catania come studenti, lavoratori e precari, attraversandone i diversi quartieri, e vogliamo spostare il focus da i fatti ad alcune delle cause.

Dal canto nostro, crediamo che l‘autorganizzazione dal basso possa essere una delle soluzioni, con i centri sociali occupati ed autogestiti, con la riappropriazione di spazi di socialità come la Peschereal, con la creazione di collettivi dentro le scuole e le università, con sportelli come quello anti sfratto; si recupera dove è abbandonato, si alimenta cultura, si mette in campo impegno civico e politico senza magagne di soldi dietro, si mettono in comune le difficoltà e i bisogni, nonché i sogni, per trovare risposte comuni.

È già chiaro che l’amministrazione, quella attuale, come quelle passate, non sia in grado e non abbia voglia di mettere le mani sui problemi veri della città.

Sta alla gente che vive ogni giorno Catania prendersi cura della propria città, ancora una volta, sta a noi cambiare le sorti del gioco.

Bloccato corteo di Forza Nuova a Catania

Ancora una volta Forza Nuova scende in piazza a Catania a “difesa della vita e della famiglia tradizionale”. Niente di nuovo. Ci eravamo lasciati quasi un anno fa, con un presidio sugli stessi temi promosso ancora una volta da FN e il nostro disgusto verso l’iniziativa. Anche quest’anno non potevamo fare in modo che tale idiozia si ripetesse, nella nostra città, senza dire nulla… senza fare nulla. Discriminazione, intolleranza, sessismo e omofobia: questo è ciò che alimentano questi gruppetti neo-fascisti quando promuovono presidi e cortei su questi temi, in nome della libertà d’espressione. Liberamente vogliono ridurre le libertà legittima di ogni donna, di una coppia omosessuale, di persone che semplicemente vogliono avere l’opportunità di essere e scegliere ciò che meglio credono.

Era previsto per l’otto novembre un corteo di FN su questi temi. Non potendo assolutamente tollerare un’iniziativa del genere, in tanti abbiamo deciso di mettere fine a questa sagra del bigottismo.Alle 17.30 un controcorteo di antifascisti, con una prima linea al femminile, è sceso per le strade di Catania con l’intento di raggiungere ilconcentramento di FN in Piazza Roma.Il nostro corteo è stato raggiunto dalla digos che, immediatamente, ha bloccato la strada intimando di andare via e non creare disordini.Naturalmente andare via era fuori discussione.Siamo rimasti fermi per quasi 2 ore all’altezza della Feltrinelli, con un cordone di forze dell’ordine davanti. Il blocco del corteo è diventato immediatamente anche il blocco della circolazione di un punto nevralgico della città. Dopo circa due ore il contro corteo sceglie di ripercorrere Via Etnea al contrario, sempre con un fitto volantinaggio tra i passanti.

La giornata dell’otto novembre è l’ennesimo caso in cui la polizia, e dunque lo stato,decide di difendere il fascismo e non la libertà. L’otto novembre è anche una di quelle occasioni in cui è bene ricordarsi che ogni conquista, ogni libertà personale e collettiva, è figlia di grandi privazioni, come quella del ventennio nero. Il fascismo non è ancora finito e serpeggia, con forme e sigle diverse dal passato, alimenta un clima culturale intollerante e vorrebbe limitare molti individui etichettati come “diversi”. Tacciateci pure di non essere democratici, di non rispettare le libertà altrui. Per quanto ci riguarda, al fascismo e a tutte
le forme di neo-fascismo non si può permettere nessuna libertà, nemmeno di espressione.In quanto antifasciste e antifascisti, non possiamo tollerare una presenza così invadente nella nostra città (non certo per i numeri quanto per i temi).Il fascismo va combattuto ogni giorno e lo facciamo, nei nostri centri sociali, nelle iniziative che organizziamo, nei metodi di lotta orizzontali e nel mondo che sogniamo e che vogliamo creare. Il fascismo però va anche respinto quando esce fuori, va nelle piazze e prova a prendersi spazi di agibilità politica in città. In una città “nera” come Catania, che  non vedeva da tanto tempo una controparte antifascista ci rende orgogliosi di essere riusciti a bloccare il corteo di FN per ben due ore e soprattutto di aver riportato l’ antifascismo nelle strade.
Contro ogni fascismo, da sempre e per sempre.

Antifascisti e antifasciste catanesi.

#EatTheCity

Feuerbach nel 1862 scriveva che “l’uomo è ciò che mangia”, intendendo con ciò che l’uomo può essere definito a partire dalla condizione materiale in cui vive.

Utilizzando il punto di vista del filosofo tedesco per definire gli uomini oggi, certamente il risultato non è positivo se parliamo di cosa “mangia l’uomo”. È certo che il menù degli ultimi anni non sia dei migliori. Innanzi tutto perché non è determinato dai popoli ma, sempre più spesso, da chi siede su delle poltrone e gioca con le vite delle persone. In un grande calderone fumante buttano tagli all’istruzione e alla sanità; riforme che rendono il lavoratore schiavo e sottomesso alle logiche macabre della precarietà; articoli impervi in mezzo a decreti legge fiume che rendono banditi gli occupanti di case sfitte, estromettendoli dalle liste per l’assegnazione di un alloggio popolare e impedendogli di avere un contratto per la luce e il gas; repressione per ogni segno di rivolta, a colpi di lacrimogeni, manganelli, leggi e articoli del codice penale dal retrogusto fascista. Questo menù non molto leggero è generalmente presentato su un letto di scuse fresche del tipo “c’è la crisi”, “ce lo chiede l’Europa”, “facciamo dei sacrifici e andrà meglio”. Il dolce, dal retrogusto un po’ amaro, è un aumento di 80 euro nella busta paga di poche migliaia di persone, messo lì giusto in tempo per affrontare un turno elettorale e accaparrarsi qualche voto in più al parlamento europeo. E così, voilà… il pasto è servito.

A livelli di potere più basso la situazione non cambia. La “primavera di Bianco”, tanto attesa dopo le elezioni, tarda arrivare. La costante di questa nuova amministrazione sono gli sfratti di famiglie bisognose senza casa, la diminuzione di servizi essenziali a partire dai quartieri popolari, la repressione di forme di aggregazione e socialità fuori dagli schemi e libera. In linea con il menù del governo principale, anche a Catania si è ben allineata alle logiche di sfruttamento e repressione di Roma.

“Quello che passa il convento” a noi non basta più. Perché se è vero che vogliamo tutto, allora vogliamo anche autodeterminarci… e dunque decidere “cosa mangiare”. Abbiamo imparato a capire insieme quali sono i nostri bisogni comuni. È arrivato il momento di creare delle risposte comuni a queste esigenze. Sappiamo quello che vogliamo e, soprattutto, quello che non vogliamo. È ora di metterci ai fornelli, perché da ora decidiamo noi cosa mangiare e chi essere. Ci mangiamo la città.

Vogliamo una Catania che non sfratti le famiglie per morosità ma che renda fruibili i tanti luoghi vuoti che esistono. Vogliamo una Catania che non reprima la socialità e la cultura nata dal basso. Vogliamo una Catania antifascista, intollerante verso ogni forma di neofascismo, razzismo e omofobia. Vogliamo una città che riesca a riprendersi spazi abbandonati e riesca a riempire i suoi tanti vuoti.

I fuochi sono accesi e l’acqua bolle. Il nostro conflittuale banchetto sta per iniziare.

Stay tuned, enjoy and… #EatTheCity with us.

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