Siamo donne, dunque antifasciste!

Mussolini spesso ripeteva nei suoi discorsi che la donna, nella perfetta e funzionale società fascista, doveva “far figli, molti figli, per dare soldati alla patria”. D’altronde, recitava un altro slogan di questi simpaticoni, “la maternità sta alla donna come la guerra sta all’uomo”. I conti dunque tornano.
Basta solo questo per capire che, prima di ogni cosa, prima di ogni idea, prima di ogni sentimento politico, dirsi antifascista per noi è strettamente legato al nostro essere donne, femmine, persone di sesso femminile. Non vogliamo entrare nel merito del ruolo della donna nella società  e tutta quella serie di stronzate, perché di certo impacchettare un ruolo più o meno emancipato, più o meno moderno, più o meno equilibrato non è la soluzione a nessun problema; così anche non lo è mettere e spostare diritti come fossero calamite di un frigo. Dicevamo, non volendo entrare nel merito di queste questioni, essere antifascista per una donna significa essere una donna libera. Essere una donna libera significa avere l’opportunità di compiere delle scelte in base ad esigenze e desideri propri, essere tutelata nelle scelte che si compiono. No, non è del voto che parliamo.
Per fare un esempio concreto: il due novembre forza nuova ha organizzato a Catania un presidio per la difesa della vita e della famiglia tradizionale. Insomma, la sagra dell’ottusità.
Che significa difendere la vita per questa gente?
Difendere la vita per questa gente significa ignorare la 194 (che, seppure con mille difetti, per chi non lo sapesse, è quella legge che rende legale abortire in strutture pubbliche, entro un certo periodo di tempo) e magari ritornare a quel regime per cui l’aborto era un reato penale, ovviamente punibile. Difendere la vita, per lor signori, significa impedire degli aborti assistiti in strutture adatte e, inevitabilmente, indurre come un tempo a soluzioni clandestine, in cui le condizioni igenico-sanitarie di queste piccole operazioni producevano effetti devastanti, che conducevano anche alla morte. Altro che difendere la vita, no?!
Questi sono quelli che sono felici di sentire che in Italia 7 medici su 10 sono obbiettori, che al Sud, in Sicilia, a casa nostra, più dell’80% dei medici, degli infermieri e degli anestesisti non è disposto a praticare un aborto. Questi sono quelli che ti rispondono che, in ogni caso, puoi abortire in ospedale, ignorando le liste d’attesa infinite (come se potessi aspettare settimane o mesi), ignorando un servizio pessimo per cui spesso saltano le anestesie, i supporti psicologici, il semplice tatto a fronte di una situazione di per sé non semplice. Questi sono quelli che se ne fregano se, ancora oggi, a causa di queste percentuali, alcune donne sono costrette a viaggiare, persino all’estero talvolta, per abortire in condizioni decenti: nemmeno fossimo ancora negli anni ’70, quando si organizzavano periodicamente gruppi di donne che partivano per l’Olanda o la Francia. Questi sono quelli che ignorano che molti di questi medici da obbiettori in strutture pubbliche diventano i “maghi dell’aborto” nello loro cliniche private: basta essere pagati a peso d’oro per dimenticare l’etica, l’amore per dio e la patria. Questi sono quelli che contribuiscono a creare quel clima culturale per cui automaticamente sei una donna degenere, forse puttana pure, se decidi di abortire. Come se potendo scegliere, decidere di abortire e farlo fossero dei passaggi semplici, leggeri, senza conseguenze: spesso non basta sentire la pesantezza che deriva da una decisione personale difficile ma ci si mettono pure loro, i benpensanti supportati da fasciste teste di cazzo, ad additarti come assasina-traditrice-puttana di turno.
Potremmo andare avanti per pagine e pagine, parlando delle loro “famiglie tradizionali”, dei loro strani concetti di patria, del loro perverso modo di essere “cristiani”, del loro odio verso gli immigrati, di come si stiano nascondendo da anni dietro attività sociali per far dimenticare tutto questo, la sostanza, la loro essenza intollerante, razzista, gerarchica e patriarcale, sull’onda del tanto amato revisionismo storico di casa nostra, che pretende con un colpo di spugna di cancellare tutto ciò che è stato.

Donne-protesta

Ecco, per quanto ci riguarda, è molto semplice. Solo perché donne non siamo disposte a farci dire dove stare e come starci, a seguire ideali e proposte palesemente inconciliabili con la nostra natura e le nostre esigenze. Solo perché donne non siamo disposte a sopportare che il nostro corpo venga usato per propagandare idee che potrebbero non appartenerci, a farci dettare linee che non si conciliano con le nostre esigenze. In quanto donne vogliamo poter scegliere i cosa, i come e i quando della nostra esistenza.

 

Il fascismo non è donna. Noi siamo donne. Noi siamo antifasciste.  

Ieri, oggi, domani e per sempre. 

Le compagne del Collettivo Aleph… e non solo.