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Stessa crisi, misure e percezioni diverse

dal nostro corrispondente a Lisbona

La crisi è sicuramente globale, ma la percezione di questa e le misure applicate dai governi sono differenti.

In un paese come il Portogallo, che si trova sotto la ormai famosa “Troika”, la crisi si sente nel quotidiano.

Tutto viene tassato, tutto aumenta e la vita diventa davvero difficile; daltronde quando si è abituati ad usufruire di servizi di qualità a poco prezzo i cambiamenti si vedono e si sentono:

affitto, costo servizi e del cibo spesso raddoppiano, mentre stipendi e penzioni diminuiscono vertiginosamente, per non parlare della difficoltà di trovare un impiego.

Probabilmente, a tutto ciò, chi vive in regioni come la Sicilia, è già abituato e quasi quasi sa già da piccolo di doverci convivere, ma chi è abituato a quei “diritti sociali”, per cui spesso si è lottato, si sente davvero tradito.

troika

 

E così le piazze si riempiono con assiduità e si riempiono di tutte le generazioni, ad aiutare è certo il ruolo dei grandi sindacati che ancora sono capaci di coinvolgere tutte le categorie di lavoro ma ben consapevoli che, da soli, non bastano.

E’ infatti proprio la componente giovanile a tenersi a debita distanza dai partiti di opposizione e dai sindacati, solidarietà sì, ma con diffidenza.

Quella che si è tenuta ieri 14 Febbraio a Lisbona è infatti solo preparatoria alla manifestazione nazionale del 2 Marzo che vedrà la partecipazione di tutti i movimenti sociali oltre che delle sigle istituzionali.

La rabbia c’è tutta e la consapevolezza della complessità della situazione anche, ma c’è anche una classe politica che quando può prova ad accontentare il volere della gente, alcune misure previste dalla troika, infatti, sono state bloccate.

Le parole d’ordine però, che ormai accomunano le piazze senza badare ai confini, sono “Mudar de polìtica e de governo!” “Cambiare la politica e il governo!”, segno che finchè i governi continueranno a sottostare al volere di un’ economia finanziaria ed applicare misure neoliberiste come soluzione alla crisi, nessuna piazza resterà a lungo vuota.

 

“Piano Abitazioni Bianche”: alla ricerca della saetta!

Cosa significa una casa vuota quando sempre più persone non hanno un tetto sotto il quale abitare?

La crisi della finanza e le conseguenti politiche di “austerity”, giustificate come salvataggi inevitabili da governi amici dei banchieri, hanno ammazzato le politiche sociali, già agonizzanti, che dovrebbero garantire un’esistenza dignitosa a tutti. In questo senso, il diritto alla casa, fondamentale e imprescindibile, è continuamente calpestato, ignorato, non garantito.

Le difficoltà economiche che la gente vive realmente sulla propria pelle non permettono più di pagare gli affitti e le rate dei mutui (usura delle banche autorizzata e  protette dalla politica del  governo) non permettono di accedere al credito per la casa. Anzicché parlare di case popolari, infatti, l’ultimo governo fa passare come “aiuti per un futuro migliore” crediti agevolati per i giovani nuclei familiari.

Eppure le città sono piene di edifici e appartamenti vuoti, dimenticati, degradati.

Nella nostra città, che nell’ultimo anno e mezzo ha vissuto lo sgombero degli immigrati dal palazzo delle poste, lo sgombero di 40 famiglie dal palazzo di cemento, lo sgombero di 150 persone dal palazzo Bernini, non esiste nessun piano comunale che lega con logica chi non ha un tetto con una casa sfitta: piuttosto che risolvere un evidente problema si preferisce ignorare le esigenze palesi della comunità, reprimendo chi ha deciso di trovarsi una risposta da sé.

Crediamo che tutto ciò sia indegno e immorale. Per questo diamo il via al “PIANO ABITAZIONI BIANCHE“. Segneremo tutti gli edifici, le case e gli appartamenti vuoti, sfitti e inutilizzati con la saetta bianca, e li pubblicheremo in un elenco.

Cerca la saetta bianca: è una casa vuota.

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Tran-tran elettorale? Guardiamo oltre.

 

A meno di un mese dalle elezioni, non si può non vedere il tran-tran messo su da partiti, partitini e liste civiche alla ricerca del più ampio consenso. Ognuno gioca le proprie carte per conquistare più poltrone possibili in quei palazzi in cui “si decide”. Non possiamo certo dire che si manchi di impegno né di stravaganza nella selezione dei candidati, ma tutto ciò ci interessa ben poco.

Quello che ci interessa è cambiare il piano di gioco, è lavorare su alternative concrete, a lungo termine e soprattutto che siano “alternative”.

Storici e politologi già da un po’ ripetono che il modello della democrazia rappresentativa, per come la conosciamo, è sostanzialmente inadeguato. Questa inadeguatezza inizia a palesarsi anche a chi la storia e la politica non la studia ma la vive, sulla propria pelle, ogni giorno.

La democrazia liberale permetteva ai cittadini di cambiare governo, cosa che le dittature non prevedevano, ed ovviamente era l’alternativa migliore fra le due; oggi, però, ciò non basta. Con il crescere dell’ istruzione di massa e di un pluralismo etnico, religioso e di stili di vita, la capacità rappresentativa non riesce a tenere il passo con le aspettative dei cittadini. Inoltre lo stretto legame tra democrazia liberale e Stato nazione è sicuramente un forte limite in un momento in cui gli stati vengono messi in crisi dal processo di globalizzazione: i “piani decisionali” si sono spostati altrove, più in alto nella gerarchia delle decisioni, staccandosi nettamente dalla realtà, che sia essa economica, politica o sociale, del mondo. Insomma, la crisi di questo periodo storico non investe solo l’economia, ma anche le strutture politiche e di organizzazione.

Forse, azzardiamo a dire, il sistema tutto.

Come nel caso della crisi economica, il nostro primo sforzo deve essere quello di puntare lo sguardo oltre. Così come non basta, non serve, né ci interessa la ricerca di modalità per “salvare” il sistema economico capitalista in crisi, allo stesso modo non basta, non serve, né ci interessa la ricerca di modalità per “salvare” una democrazia rappresentativa agonizzante.

 

Non voto al referenumCrediamo che parlare in termini “alternativi” significhi parlare di partecipazione attiva, di Politica e non politicismi. Piuttosto che discutere di alleanze e programmi di cui si manterrà si e no il 20% bisognerebbe parlare di come riappropriarsi di diritti, immaginari, linguaggi e pratiche. Piuttosto che ragionare in termini numerici e di “quanti voti porta” una dichiarazione o due secondi in più sullo schermo, bisognerebbe sperimentare e vivere un nuovo senso di vita sociale, bene comune e comunità: appunto, parlare di Politica e non di politicismi. Se esistono l’economia e la politica reale in contrapposizione all’economia di mercato e la politica di palazzo, allora è realmente possibile cambiare qualcosa, addirittura parlare di rivoluzione (termine certamente abusato negli ultimi mesi ma non per questo meno denso di significato). Questo cambiamento però non può passare né dai mercati né da palazzi: deve passare dalle mani, dalle bocche e dall’impegno di ognuno che vive le città, con le loro bellezze e i loro degradi, conducendo una normale vita.

Il tempo dell’elemosina è finito, è arrivato il momento delle responsabilità. Il nostro compito oggi, è quello di interrogarci, comunicare, sognare e condividere alternative che vadano oltre lo status quo.

Ci interessa cambiare il presente progettando un futuro diverso. Condiviso e partecipato.

                  Striscione 100 passi partecipare

Collettivo Aleph

Solidarietà al movimento NoMuos

In contrada Ulmo, a Niscemi, le sorprese non si fanno attendere.

Questa mattina al presidio permanente davanti la base (che dura da due mesi) si stava svolgendo l’ennesimo blocco dell’entrata dei mezzi utili alla costruzione delle antenne; presente anche il comitato mamme NoMuos. Ci sono state identificazioni, perquisizioni, momenti di tensione tra le mamme presenti e la polizia, addirittura sono stati notificati cinque fogli via a cinque attivisti.

Come qualche giorno fa, durante le manganellate piovute su gli attivisti nel mezzo della notte, viene da pensare che questo, purtroppo, fa parte di un copione già visto. Repressione, intimidazioni, denunce e anche violenza: sono queste le risposte che rimbombano dalla Val Susa a Niscemi quando si tratta di avere a che fare con un popolo di ribelli. E proprio in questi giorni, tra Niscemi e Catania i tentativi di intimidazioni a colpi di identificazioni e denunce si sprecano.

E’ bene ricordare però che questo copione non è scritto solo da una mano bensì da decine, centinaia e migliaia di mani che alla forza repressiva dello stato risponde con una presenza fisica sempre più massiccia, che alle intimidazioni risponde con rinnovata convinzione della bontà delle proprie motivazioni.

Il Collettivo Aleph esprime la sua massima e sentita solidarietà a tutte le attiviste e gli attivisti NoMuos colpiti direttamente e indirettamente da questo scempio.

Ora e sempre NO MUOS!

 

Collettivo Aleph

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