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19 Aprile a Catania: spazi e reddito per tutt*!

Oggi, in occasione della giornata nazionale di mobilitazione per il reddito garantito, insieme al Collettivo Lettere e Filosofia e Collettivo Scienze Politiche e ad altri compagni, abbiamo portato avanti un volantinaggio itinerante per la città, in luoghi che per noi sono dei simboli: lo studentato chiuso “Toscano Scuderi” di Via Etnea, l’ufficio del lavoro in via Giannetta, le fosse di Corso dei Martiri e i dipartimenti di Scienze Politiche e Lettere e Filosofia.

Luoghi e spazi che rappresentano per noi  le sconfitte di un sistema e di una città che non riesce a garantire il diritto all’abitare di cittadine e cittadini, di un Ateneo che ha dimenticato il diritto allo studio e continua a lasciare chiusi i suoi studentati, di uffici e burocrati che si nascondono dietro false promesse ma riescono solo prendere tempo su tempo con corsi di formazione… ma il lavoro non arriva. E’ necessario ripartire proprio da questi luoghi, ribaltandone i significati e creare alternative.

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Stare dentro la città, a contatto con i suoi problemi e le sue contraddizioni è sempre un piacere. Di lavoro da fare ce n’è tanto, il nostro percorso per costruire dal basso il “bene comune” continua al di fuori di partiti e sindacati…

Non ci stanchiamo di organizzare la rabbia, partendo dall’ autorganizzazione e dalla riappropriazione.

Collettivo Aleph

Collettivo Lettere e Filosofia

Collettivo Scienze Politiche

 

ps. I l Collettivo Aleph ringrazia di cuore i carabinieri che, sempre con tanta premura, ci ricordano come nella nostra città fare persino un volantinaggio è un “atto sovversivo”

Spazi e reddito per tutt*!

La situazione ad oggi è di grande incertezza.

A mesi dalle elezioni non esiste ancora un governo e la stasi della politica di palazzo, a tutti i livelli, spaventa molti. Mentre vecchi e nuovi parlamentari e capetti si passano la patata bollente della responsibilità, accusandosi l’un l’altro e tentando accordicchi in tutte le salse, l’esigenza di risposte ad esigenze reali aumenta. La disoccupazione avanza, arrivando al 40% di disoccupazione solo giovanile nel sud Italia, lasciando dietro di se una scia di famiglie e giovani (studenti e non) sempre più piegati dai conti da pagare e dunque esposti a ricatti di qualsiasi tipo. Se da un lato dunque il lavoro non c’è e non è garantita nessun tipo di tutela a chi lo cerca o ce l’ha (in nero e sottopagato), dall’altra i conti da pagare restano. L’affitto, le bollette, la vita di ogni giorno.
Quando gli sfratti aumentano ogni giorno, quando gli affitti diventano un salasso e non importa a nessuno se, fuori da quella che è casa tua, non hai davvero dove andare è ovvio che gli svaghi, legati alla cultura o al semplice socializzare svaniscono. Proibitivo è diventato comprare un libro, andare al cinema o a teatro, passare semplicemente una sera fra amici, o fare una gita fuori porta. Persino l’istruzione è diventata un privilegio. Non deve stupire se nel giro di pochi anni le iscrizioni all’università sono diminuite di quasi il 20%: tra i numeri chiusi, le tasse che ogni anno aumentano,  superando spesso e volentieri i limiti di legge, i libri, i pasti, i trasporti e l’affitto di una stanza molti sono tagliati fuori. Le borse di studio mancano e gli idonei a non riceverla aumentano; le mense sono sempre meno e non riescono a garantire un servizio a tutti. E chi dentro è entrato deve fare i conti con un sistema universitario sempre più competitivo e atomizzato, facendo venire meno il senso di una cultura condivisa per lasciare spazio a crediti e ritmi serrati: ecco che i fuori corso diventano demoni per un università che è meritevole se “sforna” quanti più laureati in regola all’anno; ed ecco che molti decidono di gettare la spugna, non vedendo un domani, e ritirarsi a casa, sperando di costruirsi in altro modo un futuro.  
In questo contesto, l’incapacità dei partiti politici e dalla democrazia rappresentativa di rispondere a queste esigenze è l’unica risposta ricevuta e l’unica certezza maturata in questi mesi.

Catania non è da meno, naturalmente. 

Da sempre tra le prime nella lista delle città con la più alta dispersione scolastica, Catania oggi si presenta come una città nemica degli studenti che l’hanno sempre popolata. Polo universitario di grande importanza, con più di 65.000 studentesse e studenti universitari che la abitano, Catania è l’Ateneo con tutte le facoltà… ops, dipartimenti sottoposti al regime del numero chiuso (a pagamento), anche questo frutto dell’ennesimo primato in Italia. A fronte di questa situazione, nonostante i grossi introiti derivanti dall’aumento delle tasse universitarie e dai numeri chiusi attivi da ormai due anni, molti sono i contratti di ricerca e collaborazione non rinnovati, con la conseguente chiusura di corsi (altrimenti portati avanti in maniera del tutto gratuita e volontaria) e dunque un sensibile calo dell’offerta formativa. D’altro canto, le borse di studio sono sensibilmente diminuite e i posti letto sono scesi di quasi 300 posti nel giro di tre anni, per non parlare delle mense che vengono chiuse e sostituite da soluzioni temporanee, certamente apprezzabili, ma non sufficienti. Eppure tanti gli edifici dell’Ateneo, fra cui anche residenze universitarie, costruiti, ristrutturati e mai aperti poiché non sicuri. E dunque, dopo milioni di euro spesi, di nuovo l’esigenza di spendere altro denaro per sopperire all’incapacità di professionisti e le disattenzioni degli uffici tecnici.

Ma Catania è anche la città dei senza casa e di una politica sociale inesistente. Nell’Italia che ha visto nel 2012 46.000 sfratti effettuati (con 8.500 sfratti in più rispetto al 2011), la nostra città in di due anni è stata teatro di tanti sgomberi di case, come nel caso degli immigrati dell’ex palazzo delle poste, o del palazzo Bernini abitato da 150 famiglie Rom, rumene e bulgare, oppure del palazzo di cemento di Librino, abitato da 40 famiglie da vent’anni. Se da un lato c’è un comune che sgombera, senza pietà, intere famiglie, dall’altro spesso e volentieri non prevede dei piani efficaci per rispondere all’esigenza abitativa, affermando che non bisogna far stare comodi chi ha dei bisogni perché se no “si culla” degli aiuti ricevuti e non cerca di risollevare la propria situazione. Come se non avere una casa e un lavoro per pagare un affitto per sé e la propria famiglia sia una situazione piacevole. Questo il caso delle famiglie di Corso dei Martiri che, dopo essere state buttate fuori dal Palazzo Bernini questa estate, senza aver ricevuto un alternativa (se non tornare nei rispettivi paesi), sono ritornati nuovamente nelle tristemente famose fosse, in cui le condizioni abitative non sono certo piacevoli. Poche settimane fa, queste stesse famiglie hanno nuovamente dovuto subire l’ennesima umiliazione in occasione della (silenziosa) chiusura delle fosse prima che a tutte le famiglie presenti venisse trovata una soluzione.
Catania, inoltre, è la città in cui trovare un lavoro è diventato praticamente impossibile, e chi ce l’ha non viene pagato o tutelato. Come nel caso degli autisti AMT che, mentre la città festeggia la linea BRT, unica linea funzionante a fronte delle altre inadatte, insufficienti e mal funzionanti, non ricevono lo stipendio da mesi.
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In questo quadro è chiaro come, a livello locale, come nazionale, non è possibile aspettare, né questo né il prossimo governo di turno.SPAZI, CASE, REDDITO, LAVORO e DIGNITA’ per tutte e tutti sono le domande giuste ma la risposta non prevede nessun atto di delega. In quelle che ci sembrano le ceneri di oggi e domani, in realtà ci sono focolai fatti di precari, studenti, disoccupati, sfruttati e ricattati da questa crisi, che ha svelato tutte le contraddizioni del nostro tempo. È in questi focolai che i bisogni non sono vergone ma esperienze da condividere, la molla per svelare gli obbiettivi comuni e creare quei progetti che servono a raggiungerli. È in questi focolai che c’è la capacità di costruire nuovi immaginari comuni e il coraggio di mettere sé stessi in gioco per il bene proprio e di una comunità. Per noi bisogna partire da questi focolai e parlando i linguaggi dell’auto-organizzazione e della  riappropriazione ripartire da qui, da queste ceneri piene di forza… rivoluzionaria. 

“Piano Abitazioni Bianche”: alla ricerca della saetta!

Cosa significa una casa vuota quando sempre più persone non hanno un tetto sotto il quale abitare?

La crisi della finanza e le conseguenti politiche di “austerity”, giustificate come salvataggi inevitabili da governi amici dei banchieri, hanno ammazzato le politiche sociali, già agonizzanti, che dovrebbero garantire un’esistenza dignitosa a tutti. In questo senso, il diritto alla casa, fondamentale e imprescindibile, è continuamente calpestato, ignorato, non garantito.

Le difficoltà economiche che la gente vive realmente sulla propria pelle non permettono più di pagare gli affitti e le rate dei mutui (usura delle banche autorizzata e  protette dalla politica del  governo) non permettono di accedere al credito per la casa. Anzicché parlare di case popolari, infatti, l’ultimo governo fa passare come “aiuti per un futuro migliore” crediti agevolati per i giovani nuclei familiari.

Eppure le città sono piene di edifici e appartamenti vuoti, dimenticati, degradati.

Nella nostra città, che nell’ultimo anno e mezzo ha vissuto lo sgombero degli immigrati dal palazzo delle poste, lo sgombero di 40 famiglie dal palazzo di cemento, lo sgombero di 150 persone dal palazzo Bernini, non esiste nessun piano comunale che lega con logica chi non ha un tetto con una casa sfitta: piuttosto che risolvere un evidente problema si preferisce ignorare le esigenze palesi della comunità, reprimendo chi ha deciso di trovarsi una risposta da sé.

Crediamo che tutto ciò sia indegno e immorale. Per questo diamo il via al “PIANO ABITAZIONI BIANCHE“. Segneremo tutti gli edifici, le case e gli appartamenti vuoti, sfitti e inutilizzati con la saetta bianca, e li pubblicheremo in un elenco.

Cerca la saetta bianca: è una casa vuota.

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La risposta del Comune alla questione abitativa? Un muro di mattoni e di menzogne.

Dopo quasi una settimana di lavori, nella tarda mattinata di oggi è stato murato il portone al civico 7 di via G. L. Bernini, ultima porta rimasta aperta delle quattro palazzine che compongono l’ormai tristemente noto Palazzo Bernini.

Congratulazioni a chi, negli scorsi due mesi, ha chiesto insistentemente lo sgombero del palazzo. Prima di chiudere la questione e lasciare brindare chi di dovere però, vorremmo precisare alcune cose, giusto perché non siamo noi ad avere qualcosa da nascondere, e la chiarezza ci appartiene, evidentemente.

“Complimenti” al Comune e al Presidio Leggero

Nei giorni prima dello sgombero facce mai viste nei mesi precedenti (a parte alcune) hanno iniziato a frequentare il palazzo per qualche minuto ogni giorno, spargendo la voce fra gli abitanti dell’imminente sfratto, consigliando loro di spostarsi quanto prima, magari di cercare una casa in affitto (come se non fossero capaci di trovarsela da soli una casa in affitto potendo permettersela). Purtroppo, però, nessuna di quelle famiglie presenti al palazzo ha la possibilità economica di pagare centinaia di euro ogni mese per un paio di stanze. Dunque, la ditta chiamata dal Comune e il geometra del Comune si sono ritrovati, martedì 17 luglio, quattro palazzine interamente abitate. Bel problema se vuoi svuotare un palazzo (perché hai alle calcagna la medio–alta borghesia della città che si lamenta e chiede un intervento immediato) e non sai dove mettere 150 persone!

Il destino degli abitanti di Palazzo Bernini

Per placare gli animi di chi si è messo a chiedere spiegazioni, allora è uscita fuori la storiella del denaro da dare ad ogni nucleo familiare (all’inizio 1.000 euro a famiglia!) per pagar loro il rientro in Romania, Bulgaria o qualsiasi altro sia il luogo d’origine, e permettergli di affrontare i primi tempi. Nei giorni successivi però, i 1.000 euro sono diventati 100 euro a persona, poi 100 euro a nucleo familiare, poi solo  costi per il biglietto del pullman. Data la poca convenienza della vergognosa proposta al ribasso, solo 27 persone su 150 hanno accettato la proposta di tornare a casa, 27 persone tutte Rumene. Intanto, dato l’evolversi della situazione, qualche rumeno della seconda e terza palazzina si è spostato autonomamente dal palazzo per sistemarsi non si sa bene dove. Il resto degli abitanti di queste due palazzine ha spostato  le proprie cose sul porticato per protesta (sotto uno striscione con scritto “grazie sindaco da oggi dormiamo fuori”). Tutta la quarta e gran parte della prima palazzina si sono svuotate: erano abitate da famiglie bulgare che sono tornate in Corso dei Martiri. Due nuclei familiari della prima palazzina rimangono tuttora al palazzo, come hanno fatto le famiglie rumene. Formalmente questi spostamenti non vengono rilevati e viene dichiarato che tutti sarebbero rientrati nei rispettivi paesi di provenienza.

Dati falsi e menzogne

Le menzogne però non sono finite. Infatti è falso il dato per cui il rimpatrio (perché lo consideriamo un rimpatrio coatto a tutti gli effetti, se non puoi rientrare per un anno in territorio Italiano) sarebbe stato accettato da tutti. Ma anche per quelli che veramente vorrebbero tornarsene a casa, stanchi dell’Italia, non sono tutte rose e fiori. Ad oggi, infatti, non ci sono i soldi per pagare tutti i 27 biglietti e dunque solo 6 persone su 27 sono partite questo pomeriggio.

Le responsabilità hanno nomi e cognomi

Si sperava che il Comune avesse rinunciato almeno per oggi, visti gli impedimenti per le partenze previste, a sigillare l’ultimo accesso al palazzo. Purtroppo però, in tarda mattinata, scatta l’ordine di murare, proprio mentre inizia un forte acquazzone: non solo gli ultimi abitanti del palazzo da oggi sono senza casa, ma hanno anche tutti gli effetti personali zuppi di acqua e pertanto dovranno dormire su materassi umidi, compreso Mario, di quattro anni. Se non la logica, nemmeno la disumana condizione di queste persone hanno fermato le decisioni di chi da ordini per telefono, al sicuro, dalle sue stanzette di palazzo.

Abitato da circa 150 persone fino alla settimana scorsa, animato dai giochi e dalle risa dei bambini che scorrazzavano sotto al portico, rallegrato dalla musica suonata e ballata in allegria, addolcito dai sorrisi di chi, nonostante tutto, trova ancora il coraggio di vedere il bicchiere mezzo pieno, il Palazzo Bernini oggi si presenta come un gigante di cemento senza senso, incomprensibilmente vuoto e pieno, allo stesso tempo, dei nuovi “senza tetto” che il Comune ha generato in una settimana di intervento.

E adesso festeggiate.

Adesso potete brindare tutti, consiglieri e abitanti della “Catania bene” e non. Felici e soddisfatti: pericolo eliminato, nemico abbattuto. Che nessuno però si stupisca se usiamo parole come “ghettizzazione” e “razzismo”: perché se c’è una cosa che abbiamo imparato da questa vicenda è che Catania non accoglie nessuno, se non per interesse personale, e che l’epoca degli inspiegabili razzismi non è affatto finita. Quando vorrete spegnere il televisore, aprire la porta e uscire di casa, fatevi pure una passeggiata sotto i portici del Palazzo Bernini “liberato dagli invasori” e guardate i giochini lasciati da Narcisa, Sefora e Andrei, le scarpe di Nadia, Nicoleta o Gabriela: guardate i segni lasciati da chi sperava nella parola “domani” e che voi avete cacciato, sentitevi pure in colpa e con la coscienza sporca.

Noi forse non ci saremo, forse saremo stati buttati fuori per colpa delle vostre menti bigotte, ancora una volta, da un palazzo disabitato. Però sorrideremo ancora, e continueremo a dire che la casa è un diritto e che gli esseri umani sono tutti uguali e che hanno tutti diritto di avere le stesse opportunità.

Collettivo Aleph