Spazi e reddito per tutt*!

La situazione ad oggi è di grande incertezza.

A mesi dalle elezioni non esiste ancora un governo e la stasi della politica di palazzo, a tutti i livelli, spaventa molti. Mentre vecchi e nuovi parlamentari e capetti si passano la patata bollente della responsibilità, accusandosi l’un l’altro e tentando accordicchi in tutte le salse, l’esigenza di risposte ad esigenze reali aumenta. La disoccupazione avanza, arrivando al 40% di disoccupazione solo giovanile nel sud Italia, lasciando dietro di se una scia di famiglie e giovani (studenti e non) sempre più piegati dai conti da pagare e dunque esposti a ricatti di qualsiasi tipo. Se da un lato dunque il lavoro non c’è e non è garantita nessun tipo di tutela a chi lo cerca o ce l’ha (in nero e sottopagato), dall’altra i conti da pagare restano. L’affitto, le bollette, la vita di ogni giorno.
Quando gli sfratti aumentano ogni giorno, quando gli affitti diventano un salasso e non importa a nessuno se, fuori da quella che è casa tua, non hai davvero dove andare è ovvio che gli svaghi, legati alla cultura o al semplice socializzare svaniscono. Proibitivo è diventato comprare un libro, andare al cinema o a teatro, passare semplicemente una sera fra amici, o fare una gita fuori porta. Persino l’istruzione è diventata un privilegio. Non deve stupire se nel giro di pochi anni le iscrizioni all’università sono diminuite di quasi il 20%: tra i numeri chiusi, le tasse che ogni anno aumentano,  superando spesso e volentieri i limiti di legge, i libri, i pasti, i trasporti e l’affitto di una stanza molti sono tagliati fuori. Le borse di studio mancano e gli idonei a non riceverla aumentano; le mense sono sempre meno e non riescono a garantire un servizio a tutti. E chi dentro è entrato deve fare i conti con un sistema universitario sempre più competitivo e atomizzato, facendo venire meno il senso di una cultura condivisa per lasciare spazio a crediti e ritmi serrati: ecco che i fuori corso diventano demoni per un università che è meritevole se “sforna” quanti più laureati in regola all’anno; ed ecco che molti decidono di gettare la spugna, non vedendo un domani, e ritirarsi a casa, sperando di costruirsi in altro modo un futuro.  
In questo contesto, l’incapacità dei partiti politici e dalla democrazia rappresentativa di rispondere a queste esigenze è l’unica risposta ricevuta e l’unica certezza maturata in questi mesi.

Catania non è da meno, naturalmente. 

Da sempre tra le prime nella lista delle città con la più alta dispersione scolastica, Catania oggi si presenta come una città nemica degli studenti che l’hanno sempre popolata. Polo universitario di grande importanza, con più di 65.000 studentesse e studenti universitari che la abitano, Catania è l’Ateneo con tutte le facoltà… ops, dipartimenti sottoposti al regime del numero chiuso (a pagamento), anche questo frutto dell’ennesimo primato in Italia. A fronte di questa situazione, nonostante i grossi introiti derivanti dall’aumento delle tasse universitarie e dai numeri chiusi attivi da ormai due anni, molti sono i contratti di ricerca e collaborazione non rinnovati, con la conseguente chiusura di corsi (altrimenti portati avanti in maniera del tutto gratuita e volontaria) e dunque un sensibile calo dell’offerta formativa. D’altro canto, le borse di studio sono sensibilmente diminuite e i posti letto sono scesi di quasi 300 posti nel giro di tre anni, per non parlare delle mense che vengono chiuse e sostituite da soluzioni temporanee, certamente apprezzabili, ma non sufficienti. Eppure tanti gli edifici dell’Ateneo, fra cui anche residenze universitarie, costruiti, ristrutturati e mai aperti poiché non sicuri. E dunque, dopo milioni di euro spesi, di nuovo l’esigenza di spendere altro denaro per sopperire all’incapacità di professionisti e le disattenzioni degli uffici tecnici.

Ma Catania è anche la città dei senza casa e di una politica sociale inesistente. Nell’Italia che ha visto nel 2012 46.000 sfratti effettuati (con 8.500 sfratti in più rispetto al 2011), la nostra città in di due anni è stata teatro di tanti sgomberi di case, come nel caso degli immigrati dell’ex palazzo delle poste, o del palazzo Bernini abitato da 150 famiglie Rom, rumene e bulgare, oppure del palazzo di cemento di Librino, abitato da 40 famiglie da vent’anni. Se da un lato c’è un comune che sgombera, senza pietà, intere famiglie, dall’altro spesso e volentieri non prevede dei piani efficaci per rispondere all’esigenza abitativa, affermando che non bisogna far stare comodi chi ha dei bisogni perché se no “si culla” degli aiuti ricevuti e non cerca di risollevare la propria situazione. Come se non avere una casa e un lavoro per pagare un affitto per sé e la propria famiglia sia una situazione piacevole. Questo il caso delle famiglie di Corso dei Martiri che, dopo essere state buttate fuori dal Palazzo Bernini questa estate, senza aver ricevuto un alternativa (se non tornare nei rispettivi paesi), sono ritornati nuovamente nelle tristemente famose fosse, in cui le condizioni abitative non sono certo piacevoli. Poche settimane fa, queste stesse famiglie hanno nuovamente dovuto subire l’ennesima umiliazione in occasione della (silenziosa) chiusura delle fosse prima che a tutte le famiglie presenti venisse trovata una soluzione.
Catania, inoltre, è la città in cui trovare un lavoro è diventato praticamente impossibile, e chi ce l’ha non viene pagato o tutelato. Come nel caso degli autisti AMT che, mentre la città festeggia la linea BRT, unica linea funzionante a fronte delle altre inadatte, insufficienti e mal funzionanti, non ricevono lo stipendio da mesi.
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In questo quadro è chiaro come, a livello locale, come nazionale, non è possibile aspettare, né questo né il prossimo governo di turno.SPAZI, CASE, REDDITO, LAVORO e DIGNITA’ per tutte e tutti sono le domande giuste ma la risposta non prevede nessun atto di delega. In quelle che ci sembrano le ceneri di oggi e domani, in realtà ci sono focolai fatti di precari, studenti, disoccupati, sfruttati e ricattati da questa crisi, che ha svelato tutte le contraddizioni del nostro tempo. È in questi focolai che i bisogni non sono vergone ma esperienze da condividere, la molla per svelare gli obbiettivi comuni e creare quei progetti che servono a raggiungerli. È in questi focolai che c’è la capacità di costruire nuovi immaginari comuni e il coraggio di mettere sé stessi in gioco per il bene proprio e di una comunità. Per noi bisogna partire da questi focolai e parlando i linguaggi dell’auto-organizzazione e della  riappropriazione ripartire da qui, da queste ceneri piene di forza… rivoluzionaria.