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Solidarietà al TMO di Palermo sgomberato

GORGO - by Nemo ph: Piero Cosentino
GORGO – by Nemo
ph: Piero Cosentino

Questa mattina le forze dell’ordine hanno sgomberato il TMO, Teatro Mediterraneo Occupato di Palermo, luogo di cultura, teatro, arte e socialità occupato circa un anno e mezzo fa. Notizia questa che ci lascia quantomeno a bocca aperta. Non entriamo nel merito della scomoda posizione che il sindaco Orlando, ancora una volta, ha: ciò che si presenta “sinistra” e poi sgombera spazi di socialità e arte, certamente, non è uno spettacolo bello né tanto meno semplice da giustificare. Non entreremo nemmeno in merito al forum sulla gestione dei beni comuni che ha visto, tra i promotori, anche gli occupanti del TMO e che ha raccolto la partecipazione anche di alcuni esponenti del consiglio comunale di Palermo. Queste questioni le lasciamo ai compagni palermitani, che conosco meglio di noi le dinamiche della loro città e che certamente sono in grado di interpretare certi avvenimenti in maniera più consapevole e accurata di noi.

Lo sgombero del TMO è per noi un grave segno di abuso e sopruso. Questa esperienza di occupazione, in linea con molte altre simili nel resto d’Italia, in un anno e mezzo ha parlato alla città di Palermo di arte, teatro e cultura in una chiave del tutto nuova, usando il linguaggio dell’autogestione, dell’autodeterminazione e della partecipazione attiva a un progetto comune. Non siamo certo noi in grado di “valutare” la bontà artistica e teatrale del TMO, per questo forse parlano chiaro le molte serate sold-out e i recenti successi raggiunti. Sappiamo però riconoscere quando un progetto collettivo è in grado di aggregare e coinvolgere le persone, quando una visione inizialmente eretica può invece diventare sogno comune. E la solidarietà che in queste ore sta arrivando al TMO, forse, dimostra anche questo. Anche noi non possiamo che esprimere solidarietà ai compagni e agli artisti del Teatro Mediterraneo Occupato, certi che dei cancelli saldati non fermeranno la carica artistica e collettiva che sono nate durante un anno e mezzo di occupazione.

Salvini contestato a S. G. la Punta – #maiconsalvini #maiconlalega

Se c’erano soldi da spendere ieri, sono stati spesi. E tanti. Il grosso numero di polizia e carabinieri schierato a difesa di Salvini, per consentirgli di intervenire alla chiusura della campagna elettorale a San Giovanni La Punta, è infatti da maxi spesa. Ad essere militarizzato in realtà è un intero paese. La piazza principale è chiusa, così come tutte le vie d’accesso, il parcheggio comunale e la villa sono costantemente presidiati. Insomma, un’occupazione militare non avrebbe saputo fare meglio. Oltre questa muraglia umana e militare, c’è poi “popolo” de i “NoiconSalvini”, numericamente insignificante: over 50 riciclati dal MPA di Lombardo, giovani e meno giovani nostalgici del ventennio e legati a CasaPound. Tutti lì ad attendere l’intervento de “il comandante”, che ha parlato solo per 15 minuti, ripetendo la sua solita retorica razzista, ma evitando attentamente di insultare i meridionali, ovviamente. Oltre questa triste e spenta scena, la contestazione. Centinaia di persone hanno risposto all’appello apparso sul web, chiamata all’orgoglio meridionale e antirazzista. Bandiere siciliane, cartelli “antilega”, musica e striscioni colorano e ravvivano il composito presidio, che tenta più volte di accedere alla piazza ma viene respinto dalla polizia. In circa in 200, sotto le parole d’ordine “Mai con Salvini”, abbiamo manifestato tutto il nostro orgoglio meridionale e, nonostante l’imparità numerica evidente, abbiamo tentato più volte di sfondare il muro a protezione del leader del carroccio. Un lancio di uova e ortaggi è seguito ai respingimenti. Ci si è mossi poi in corteo per le vie del paese, tra l’approvazione di chi era rimasto alle finestre, per raggiungere il punto più vicino al palco e riprendere la contestazione.

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Sempre più forze dell’ordine, e sempre con più forza, sono necessarie per difendere la casta di parlamentari che occupano le poltrone nei palazzi del potere. Sempre più isolata una classe dirigente si rifugia in situazioni di repressione e trincea per riuscire a sopravvivere. Questo il primo dato emerso dalla giornata di ieri. Salvini, così come Renzi, non può più girare, tenere comizi, visitare le piazze, mostrarsi in pubblico senza un vero e proprio processo di militarizzazione. L’ epoca del leader simpatico ai più è nata e morta con Berlusconi; nonostante il processo di personalismo della politica, il consenso diffuso è totalmente assente. Un altro dato che abbiamo notato sta nella composizione della contrapposizione. Bellissima e rassicurante la spontaneità della partecipazione. Il territorio catanese, difficile e spinoso, ha dimostrato ieri di riconoscere “il bluff” leghista e di sentire vivo l’orgoglio di una terra martoriata e denigrata. Questo rende poco fertile il terreno elettorale di Salvini. Quella di ieri quindi è stata una giornata d’indignazione spontanea e genuina, cma he ci stimola molti spunti di riflessione. Primo, e non in termini di importanza, l’assenza dell’opposizione elettorale a Salvini. Persino le liste più “a sinistra” hanno evitato la piazza, segno questo ancor più evidente di una distanza abissale tra i soggetti coinvolti nella vita politica istituzionale e qualsiasi prospettiva di rottura espressa in termini di mobilitazione e movimento, espressione dell’opposizione al capitale ed ai neofascismi. Secondo, l’assenza di soggettività politiche e sociali attive nel e per il territorio di San Giovanni La Punta. Non è stato possibile infatti trovare una “base” che, forte del proprio intervento sul territorio, potesse permettere la giusta amalgama tra la città e la provincia. E questo, in termini di lavoro sul territorio, è sicuramente una nota dolente, che non può non farci riflettere ulteriormente tra i rapporti tra centri cittadini e periferie provinciali. Terzo, la piazza di ieri era decisamente molto giovane e l’assenza massiccia di una o più generazioni, non solo in termini di partecipazione spontanea ma anche politica e militante, si è notata. Nella riproposizione di momenti di opposizione a Salvini e nella costruzione di nuove mobilitazioni, questa per noi sarà una buona base di confronto e lavoro, nell’ottica di rendere vivi i territori, capaci di generare nuovi conflitti, riappropriazioni, rivoluzioni.

Nasce #IoResto per #FareTerritorio, una conricerca dal basso sull’ emigrazione.

2gg io restoNasce #IoResto per #FareTerritorio, una conricerca dal basso sull’ emigrazione, una campagna sul tema, come non è mai stato affrontato.

Partiamo da un unico dato del rapporto SVIMEZ 2014: dal 2001 al 2013, un milione e seicentomila persone si sono spostate dal Sud al Nord.
Più di un milione e mezzo di persone hanno lasciato la loro terra per stabilirsi altrove. Non sono gli anni sessanta, non è un’epoca di espansione industriale in cui la manodopera è richiesta in ogni grande industria, anzi la crisi è ovunque ed in tutti i settori. Ingrandendo ancora la lente, abbiamo scoperto che di questi, più del 70% è composto da giovani, e di questi il 40% sono laureati. In questi anni dunque, tantissime le persone che sono emigrate e, anche se alcune di loro sono tornate indietro, il saldo è comunque altissimo. Soprattutto se la maggior parte di questi sono giovani.
Partendo da questi dati siamo andati oltre per scoprire che, almeno dai  numeri, sembra che l’Italia sia divisa nettamente in due da fattori soprattutto economici, che si tramutano quindi in fattori sociali.
I dati.
Dal 2008 al 2013, i posti di lavoro persi in Italia arrivano a circa un milione; tra questi, più di 583 mila solo al Sud. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che oggi più della metà dei giovani disoccupati in Italia si trova proprio al Sud.  I
 consumi che riguardano la salute e l’istruzione al Sud sono stati ridotti di tre volte tanto che al centro nord.
Un altro dato non indifferente riguarda l’università.  Le immatricolazioni sono diminuite molto e i giovani che, dopo il diploma, decidono di continuare a studiare arrivano a stento alla metà del totale. Grazie alle lungimiranti riforme del sistema universitario che, da qualche anno a questa parte, premia gli Atenei più “virtuosi”, c’è stato un evidente spostamento di finanziamenti statali da Sud a Nord. Dal 2011 al 2013, infatti, si calcola uno spostamento di circa 160 milioni di euro dalle università meridionali a quelle settentrionali e, secondo alcuni, se il trend continua così, si arriverà ad uno spostamento di 100 milioni annui in pochissimo. Questo naturalmente determina un’università più scadente, in termini di servizi, diritti garantiti e ricerca.
Anche sul fronte abitazioni non se la passa meglio il Sud. Sono proprio le città del meridione ad avere i picchi più alti di sfratti per morosità.

Perché una conricerca, guardare all’ “emigrazione” da un’altra prospettiva.
Il metodo della conricerca che, con tutti i nostri limiti, mutuiamo dal movimento operaio degli anni sessanta, serve come strumento per capirci e farci capire. Comprendere noi stessi in primo luogo, confrontarci sul nostro essere militanti e attivisti in Sicilia, al Sud di questa Italia divisa in due. Comprendere scelte di vita collettive e individuali, capirne il motivo e comunicarlo all’esterno, come generazione sempre meno presa in considerazione, sempre più marginalizzata e, spesso, demonizzata. Fare ricerca per comprendere e poi riuscire a progettare in maniera lungimirante e lucida un percorso politico, che possa anche essere comune nel rispetto delle mille differenze. Questa conricerca dunque è fatta di tre passaggi, tre step. Il primo riguarda un livello di analisi che coinvolge i militanti e gli attivisti di diverse città siciliane; il secondo ha come soggetto alcune compagne e alcuni compagni dei nostri collettivi e centri sociali che hanno deciso di emigrare negli ultimi 5 anni; il terzo, infine, riguarda chi non è attivista o militante, persone che non hanno ancora sperimentato la pratica di mettere in comune le proprie esigenze, la propria rabbia, le proprie aspirazioni.
Di ricerche e dati sull’ emigrazione meridionale ne sono state fatte tante, ma nessuna ha mai spostato il focus da un’ analisi prettamente statistica ed asettica.
Questa conricerca si pone l’obiettivo di evidenziare non tanto i numeri degli “spostamenti” ma la percezione di tale evento storico e sociale.
Entrare dentro il Meridione, in chi oggi si attiva sul campo ed in chi no, scoprire se, come e quanto la Politica, quella con la P maiuscola, quella quotidiana può intervenire in fattori sociali di questa portata al di fuori da mega operazioni economico-istituzionali.
L’ idea è quella di “testare” in Sicilia un modello di analisi che sia replicabile nelle altre regioni del Sud, così che nel giro di un paio d’ anni si possa passare dalla conricerca all’azione.
Da questo parte e verso questo va il nostro tentativo di analisi.

Perché  “#IoResto per #FareTerritorio”.
Se è vero che la politica dal basso deve partire dalle esigenze reali, è pure vero che, per chi vive il Sud, parlare di “emigrazione” è più che mai necessario.
Andare via significa desertificare le proprie città, i propri territori e darla vinta a chi ci vuole sradicati e flessibili, manovrabili come le pedine della dama, pronti a partire senza colpo ferire, mettendo in discussione così la capacità di costruire rapporti, progetti durevoli di vita.
Per noi forse è più semplice pensarla così. Siamo attivisti e militanti di collettivi studenteschi, centri sociali, realtà più o meno organizzate e strutturate, e da tempo abbiamo imparato cosa significa condividere difficoltà, esigenze e bisogni.
I dati che abbiamo letto sopra confermano come molte scelte politiche ministeriali abbiano, se non incentivato, nemmeno contrastato apertamente la desertificazione verso cui sta andando il Sud, il depauperamento delle sue risorse, lo svilimento del suo capitale umano. Insieme abbiamo capito che la messa in comune di esigenze e l’organizzazione della rabbia collettiva possono essere delle risposte, possono creare delle opportunità, altrettanto valide a quelle che spingono migliaia a partire.
Questo e molto altro ci tiene legati alla nostra terra, questo e molto altro ci permette di credere che, in fondo, ha un senso rimanere.
#IoResto per #FareTerritorio non è solo uno slogan, una campagna, è soprattutto una convinzione, a cui ci aggrappiamo giornalmente e su cui vorremmo confrontarci.

#IoResto per #FareTerritorio, la campagna che da qualche tempo abbiamo lanciato, vivrà un primo momento di riflessione e confronto regionale, e non solo, sul primo step della conricerca sabato 23 maggio e domenica 24 maggio a Catania, al Centro Sociale Auro.

Programma 23-⁠24 maggio:

SABATO 23 MAGGIO

h 18
Assemblea Studentesca Meridionale
“Dalle scuole al territorio; come far fronte al problema dell’ emigrazione studentesca”
h22
djset Reggae & Incredibile Trash Ribelle

DOMENICA 24 MAGGIO

h 11
Workshop
“Vivere il quartiere per vivere la città, differenze, potenzialità e difficoltà.”

h 13:30 Arrusti e Mancia

h17
Assemblea #IoResto per #FareTerritorio
“Dall’analisi del primo troncone della conricerca: come strutture, comitati, collettivi affrontano il tema dell’emigrazione; differenze e affinità in terra sicula.”

Resistenza Quotidiana

Come ogni anno ritorna il 25 aprile e tutto quello che comporta. A Catania questo significa tante cose: sigle che, assenti per tutto il resto dell’anno, si scrollano di dosso la naftalina ed escono fuori dalle rispettive sedi; appuntamenti per ricordare quello che è successo nel 1945 e cosa è stato il fascismo in Italia e non solo; assemblee per “gli addetti ai lavori” nel tentativo di ricomporre, almeno una volta l’anno, il grande ventaglio dei gruppi cittadini che, chi più chi meno, in ambiti diversi, portano avanti le lotte sociali a Catania.

resistenza-continua

Come ogni anno quindi ci chiediamo che senso ha per noi il “giorno della liberazione”, nel tentativo di contestualizzarlo per evitare di vivere questa data come semplice commemorazione di quello che fu, rivivere la storia passata senza essere consapevoli di quella che viviamo nella contemporaneità del presente.

Siamo giovani, alcuni di noi vanno ancora a scuola, altri studiano all’università, alcuni sperimentano le nuove forme di lavoro precario sulla propria pelle, attraversando lunghi periodi di disoccupazione nera. Siamo giovani, come molti di quei partigiani che 70 anni fa hanno deciso di combattere il nazi fascismo con ogni mezzo possibile. La nostra generazione è una sorta di cavia da laboratorio che sperimenta giornalmente gran parte dei grandi cambiamenti del nostro tempo: le pazze riforme dell’istruzione che, dal 2008 ad oggi, sembrano essere un anno si e l’altro pure al centro dell’agenda politica nazionale; il delirio delle riforme che prendono nomi strani, come il Job’s Act, o la follia di sindacati che firmano accordi collettivi che riconoscono il lavoro gratuito come nuova forma contrattuale di lavoro (come hanno fatto in vista dell’EXPO); lunghi periodi di disoccupazione in cui anche arrivare all’indomani è un’impresa; l’approvazione di leggi come quelle dello Sblocca Italia che non solo depenalizza i reati ambientali, ma spalanca le porte, con tanto di tappeto rosso in terra, alla devastazione e la speculazione del territorio. Siamo la generazione della crisi economica, questo mostro invisibile eppure sempre presente, in nome del quale sono state varate, e continuano ad esserlo, le più devastanti misure economiche che hanno delle ripercussioni sociali pesantissime, che persino noi che ne parliamo spesso non sappiamo ben quantificare. Viviamo il tempo in cui la libertà di movimento è garantita solo a chi nasce “al nord del mondo”, perché se sei siriano, nigeriano, egiziano e vuoi spostarti per migliorare le tue condizioni di vita, scappando da fame e guerra, allora devi fare i conti con chi lucra sul tuo disagio, affrontare il mare aperto e riuscire a sopravvivere. Siamo anche la generazione della storia che si tenta di cancellare, che raramente riesce a conoscere a fondo la storia contemporanea di cui siamo figli e che, se per caso ci arrivano, devono riuscire a sopravvivere al revisionismo storico di casa nostra che tenta, da qualche anno, di cancellare e riscrivere quello che è realmente stato il fascismo in Italia e cosa è stata la liberazione da quell’epoca grigia.

Siamo giovani come quei partigiani che 70 anni fa sono nati e cresciuti in un’epoca in cui la libertà era una visione, un sogno, qualcosa di indefinito di cui si sapeva qualcosa solo grazie alla memoria dei più grandi. Proviamo giornalmente a leggere il presente e mettiamo in comune rabbia, disagio, paure e forze. Nelle scuole, nelle università, negli spazi che occupiamo, nei quartieri che impariamo ad abitare, ci misuriamo giorno dopo giorno con le nostre difficoltà e soprattutto con quelle degli altri, che subiscono, seppur in maniera diversa, con la stessa ferocia i colpi di quelle decisioni prese in palazzi sempre più distanti. Per questo ci sentiamo resistenti ogni giorno, quando gridiamo il nostro no alla Buona Scuola, quando ci opponiamo al Job’s Act, quando subiamo la repressione indiscriminata del potere politico, quando andiamo in Val di Susa o a Niscemi. Siamo resistenti quando ascoltiamo e tentiamo di dar voce alle storie di vita dei quartieri in cui viviamo, quando arriva una nuova famiglia allo sportello antisfratto, quando apriamo una palestra popolare gratuita, quando facciamo il doposcuola in quartiere. Siamo resistenti quando accogliamo i nostri fratelli e le nostre sorelle che, partiti dall’Africa, affrontano il mare aperto per raggiungere le nostre coste, quando parliamo di meticciato, corridoi umanitari e solidarietà attiva in contrapposizione all’indifferenza europea, noncurante delle tragedie che settimanalmente si susseguono nel nostro Mar Mediterraneo, divenuto tomba silente di migliaia di persone.

Soprattutto siamo resistenti quando, a vent’anni, decidiamo di rimanere nella nostra città, nella nostra terra, quando tanti amici coetanei decidono, o sono spesso obbligati, a partire. Rimaniamo perché andare via significherebbe darla vita a quel malaffare politico che ci governa, di qualsiasi colore, più o meno democratico, sia; significherebbe lasciare spazio al potere mafioso che governa nelle diverse parti della nostra terra, con strumenti sempre diversi e sempre più pervasivi; significherebbe sradicarsi e perdere parte di quella identità che ci accomuna, che ci rende comunità.

Questo è, molto semplificato, il contesto che viviamo e in cui ci chiediamo come attraversare questo 25 aprile. Come sempre abbiamo fatto ci prendiamo la responsabilità delle nostre decisioni, più o meno popolari. Questo nostro 25 aprile non sarà né con l’ANPI né con la piattaforma alternativa de gli “Antifascisti Catanesi” perché se siamo resistenti ogni giorno allora il nostro 25 aprile non può essere condiviso con chi, per tutto il resto dell’anno, difficilmente riusciamo ad incontrare e condividere percorsi di lotta reali.

Non andiamo oltre e ci avviciniamo a questo 25 aprile per quello che siamo, resistenti nella nostra città, partigiani della contemporaneità.

Il 25 aprile per noi non è commemorazione. Il 25 aprile per noi è Resistenza Quotidiana.

#IoResto per #FareTerritorio