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EX COLLEGIO DEI GESUITI OCCUPATO!

 

Oggi il Collettivo Aleph ha riaperto e occupato la struttura che in passato ospitava l’istituto d’Arte, rendendo di nuovo fruibile un edificio storico dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco ma al centro di veri e propri scandali legati alla sua gestione da parte della politica dei palazzi.

L’Ex Collegio dei Gesuiti è un edificio settecentesco monumentale che si affaccia su via dei Crociferi, anch’essa parte del centro storico della città, dichiarato patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco. Di proprietà della Regione Sicilia, dal 1968 al 2009 ha ospitato l’Istituto d’Arte, in seguito malamente “sfrattato” per ordine dell’ex sovrintendente ai beni culturali Gesualdo Campo, funzionario-sceriffo adesso condannato in via definitiva per danno erariale in seguito ad alcuni finanziamenti irregolari ad un ente di formazione.

Una storia di sprechi: una denuncia pubblica del Collettivo Aleph

La provincia di Catania, su cui cadeva la responsabilità dell’Istituto, prima del suo trasferimento a Nesima pagava 80mila euro d’affitto al mese ad un ente privato per la sua sede temporanea. In seguito, per adeguare la sede definitiva (fuori dal centro cittadino e dalle sue bellezze che meglio si addicono ad un luogo dove si dovrebbe studiare l’arte) la Provincia ha speso 700 mila euro. Tutto ciò per uno sfratto “d’urgenza” ordinato dall’Ex sovrintendente Campo che di certo non ha brillato per onestà, data la sistemazione “parentopoliana” di moglie e figlia a cariche pubbliche e con stipendi maggiorati a carico dei cittadini.

Campo è lo stesso che, con la complicità di Comune e Questura, tolse nel 2009 alla città il c.p.o. Experia, con la stessa motivazione dell’Istituto (pericolo di crollo) e con la ridicola promessa di riutilizzo. Ad oggi, questi posti sono abbandonati al degrado e lasciati all’incuria. Nel 1998 la Protezione Civile stanziò l’equivalente di 5 milioni di euro per la messa in sicurezza dell’Ex Collegio, soldi che non sono stati mai utilizzati e che probabilmente sono già spariti in uno dei tanti “buchi neri” dell’amministrazione pubblica italiana.

Nel dicembre 2011, a due anni dal traumatico sfratto, il Comune dichiarò che i lavori di restauro sarebbero partiti a gennaio 2012. Eppure quest’edificio monumentale, ad oggi, rimane chiuso e privo di qualsiasi intervento.

Con la scusa del pericolo di crollo, in questi anni tanti politicanti da strapazzo hanno fatto carriera. Eppure, come scrive lo stesso Istituto d’Arte sul proprio sito, «la struttura presenta le condizioni di decadimento che si rilevano in tutti gli edifici del centro storico. Si chiuda e si sgomberi il centro storico di Catania! Si chiudano e si sgomberino le scuole e gli uffici ospitati negli edifici del centro storico di Catania!»

Il pressante bisogno di spazi

A Catania le piazze vengono smantellate per essere cementificate e regalate a imprese private, per diventare cartelloni pubblicitari. Oppure sono totalmente abbandonate al degrado. Nel centro storico della città non vi sono più luoghi “liberi” e “gratuiti” nei quali ascoltare musica, assistere ad eventi culturali, scambiare idee e progetti o più semplicemente passare del tempo in modo qualitativamente accettabile. Noi crediamo in quella socialità vera, senza filtri, senza interessi, che porta alla costruzione di comunità solide, solidali e attive. Noi crediamo che i vuoti di una città debbano essere riempiti da esperienze di condivisione di spazi, bisogni e ideali. Crediamo che questi spazi debbano rimanere fuori dal circuito del Business. Proprio in merito all’ex Collegio, crediamo che questo luogo abbia enormi potenzialità, colpevolmente non sviluppate e sfruttate. Non si può permettere che un posto del genere rimanga chiuso, perché crediamo che esso si sviluppi al centro di un’area viva e attiva, formata da studenti, turisti e abitanti che hanno dato vita ad un quartiere multiculturale.P1040371

 

 

In cosa vogliamo trasformare l’ex Collegio dei Gesuiti

Vogliamo che l’ex Collegio diventi un nuovo spazio autogestito fuori dalle logiche del commercio, dove sia possibile esprimere il proprio bisogno di aggregazione, creatività e libertà tramite la condivisione di idee e sapere, senza l’oppressione della politica mangereccia dei palazzi (che quando non ruba, fallisce). Uno spazio che a Catania manca e di cui se ne sente enormemente il bisogno. Questo spazio occupato, che da un lato vuole denunciare e gridare a squarciagola i soprusi e il “furto” perpetrato dai soliti enti mangiasoldi, dall’altro vuole essere un luogo di rinascita, aggregazione e lotta che parte dal basso.

Vogliamo dare nuova vita a questo spazio, colpevolmente abbandonato, con workshop di condivisione del sapere, con laboratori artistici nei quali poter esprimere liberamente la propria creatività, con la realizzazione di un doposcuola, di una palestra popolare, di un’aula studio aperta fino a tardi, di una biblioteca e di una sala proiezioni. Vogliamo che questo spazio diventi un luogo di condivisione del tempo, che ognuno di noi metterà a disposizione della collettività più precisamente con il progetto della “Banca del Tempo”, ovvero lo scambio libero e gratuito di competenze come diffusione di una forma di economia alternativa non incentrata sul denaro ma sulla condivisione.

Pensiamo che contro il degrado in continuo aumento di una città come Catania la risposta non può arrivare dalle amministrazioni, bensì da uno sforzo collettivo, che parta dal coraggio dei singoli di mettersi in gioco.

Prossimi appuntamenti al Centro Sociale Occupato Ex Collegio

Via Gesuiti, Catania:

 

 

  • Sabato 23 novembre, tutta la giornata: pulizia e riqualificazione dell’edificio

  • Sabato 23 novembre, ore 17:00: assemblea di gestione

  • Domenica 24 novembre, tutta la giornata: pulizia e riqualificazione dell’edificio

  • Domenica 24 novembre, ore 18:30: aperitivo di autofinanziamento

  • Ogni mercoledì alle 20:00: assemblea politica e di gestione del Collettivo Aleph

 

 

 

 

Siamo donne, dunque antifasciste!

Mussolini spesso ripeteva nei suoi discorsi che la donna, nella perfetta e funzionale società fascista, doveva “far figli, molti figli, per dare soldati alla patria”. D’altronde, recitava un altro slogan di questi simpaticoni, “la maternità sta alla donna come la guerra sta all’uomo”. I conti dunque tornano.
Basta solo questo per capire che, prima di ogni cosa, prima di ogni idea, prima di ogni sentimento politico, dirsi antifascista per noi è strettamente legato al nostro essere donne, femmine, persone di sesso femminile. Non vogliamo entrare nel merito del ruolo della donna nella società  e tutta quella serie di stronzate, perché di certo impacchettare un ruolo più o meno emancipato, più o meno moderno, più o meno equilibrato non è la soluzione a nessun problema; così anche non lo è mettere e spostare diritti come fossero calamite di un frigo. Dicevamo, non volendo entrare nel merito di queste questioni, essere antifascista per una donna significa essere una donna libera. Essere una donna libera significa avere l’opportunità di compiere delle scelte in base ad esigenze e desideri propri, essere tutelata nelle scelte che si compiono. No, non è del voto che parliamo.
Per fare un esempio concreto: il due novembre forza nuova ha organizzato a Catania un presidio per la difesa della vita e della famiglia tradizionale. Insomma, la sagra dell’ottusità.
Che significa difendere la vita per questa gente?
Difendere la vita per questa gente significa ignorare la 194 (che, seppure con mille difetti, per chi non lo sapesse, è quella legge che rende legale abortire in strutture pubbliche, entro un certo periodo di tempo) e magari ritornare a quel regime per cui l’aborto era un reato penale, ovviamente punibile. Difendere la vita, per lor signori, significa impedire degli aborti assistiti in strutture adatte e, inevitabilmente, indurre come un tempo a soluzioni clandestine, in cui le condizioni igenico-sanitarie di queste piccole operazioni producevano effetti devastanti, che conducevano anche alla morte. Altro che difendere la vita, no?!
Questi sono quelli che sono felici di sentire che in Italia 7 medici su 10 sono obbiettori, che al Sud, in Sicilia, a casa nostra, più dell’80% dei medici, degli infermieri e degli anestesisti non è disposto a praticare un aborto. Questi sono quelli che ti rispondono che, in ogni caso, puoi abortire in ospedale, ignorando le liste d’attesa infinite (come se potessi aspettare settimane o mesi), ignorando un servizio pessimo per cui spesso saltano le anestesie, i supporti psicologici, il semplice tatto a fronte di una situazione di per sé non semplice. Questi sono quelli che se ne fregano se, ancora oggi, a causa di queste percentuali, alcune donne sono costrette a viaggiare, persino all’estero talvolta, per abortire in condizioni decenti: nemmeno fossimo ancora negli anni ’70, quando si organizzavano periodicamente gruppi di donne che partivano per l’Olanda o la Francia. Questi sono quelli che ignorano che molti di questi medici da obbiettori in strutture pubbliche diventano i “maghi dell’aborto” nello loro cliniche private: basta essere pagati a peso d’oro per dimenticare l’etica, l’amore per dio e la patria. Questi sono quelli che contribuiscono a creare quel clima culturale per cui automaticamente sei una donna degenere, forse puttana pure, se decidi di abortire. Come se potendo scegliere, decidere di abortire e farlo fossero dei passaggi semplici, leggeri, senza conseguenze: spesso non basta sentire la pesantezza che deriva da una decisione personale difficile ma ci si mettono pure loro, i benpensanti supportati da fasciste teste di cazzo, ad additarti come assasina-traditrice-puttana di turno.
Potremmo andare avanti per pagine e pagine, parlando delle loro “famiglie tradizionali”, dei loro strani concetti di patria, del loro perverso modo di essere “cristiani”, del loro odio verso gli immigrati, di come si stiano nascondendo da anni dietro attività sociali per far dimenticare tutto questo, la sostanza, la loro essenza intollerante, razzista, gerarchica e patriarcale, sull’onda del tanto amato revisionismo storico di casa nostra, che pretende con un colpo di spugna di cancellare tutto ciò che è stato.

Donne-protesta

Ecco, per quanto ci riguarda, è molto semplice. Solo perché donne non siamo disposte a farci dire dove stare e come starci, a seguire ideali e proposte palesemente inconciliabili con la nostra natura e le nostre esigenze. Solo perché donne non siamo disposte a sopportare che il nostro corpo venga usato per propagandare idee che potrebbero non appartenerci, a farci dettare linee che non si conciliano con le nostre esigenze. In quanto donne vogliamo poter scegliere i cosa, i come e i quando della nostra esistenza.

 

Il fascismo non è donna. Noi siamo donne. Noi siamo antifasciste.  

Ieri, oggi, domani e per sempre. 

Le compagne del Collettivo Aleph… e non solo.

 

LE LOTTE NON SI PROCESSANO!

Già da tempo si è aperta una stagione repressiva intensa per alcuni compagni e compagne catanesi. A partire dalle manganellate di quattro anni fa davanti al portone del CPO Experia da parte di polizia & co ad oggi. Denunce, segnalazioni, identificazioni, fogli e foglietti per occupazioni, presidi, blocchi stradali e “invasioni” di basi militari, finanche per  cortei o presidi “non comunicati” in questura.
Dall’intimidazione pura e semplice di fogli e fogliettini, per la macchina repressiva il passo spesso è breve per arrivare a rinviare a giudizio i militanti che combattono e non intendono piegarsi ad essa. Questo è il caso di otto di noi, che a giorni entreranno in un aula di tribunale a quattro anni esatti dello sgombero del CPO Experia per inesistenti reati commessi durante quella notte.
Ricordiamo bene la notte e l’alba di quattro di anni fa, così come ricordiamo bene ogni volta che abbiamo deciso di scendere in piazza, fare un corteo e deviarne il percorso, occupare uno spazio abbandonato o contrastare fisicamente un’opera inutile e devastante.
Ricordiamo bene i motivi per cui spesso abbiamo usato pratiche tante volte considerate illegali da un codice di origine fascista e applicate da zelanti funzionari dello Stato, per altre volte e per altre cose troppo spesso completamente e colpevolmente assente.  
,  portate avanti vivendo strade e quartieri, attraversando vite e riempiendo l’aria con i nostri slogan. Ricordiamo tutto questo e lo rivendichiamo come atto politico.
Mercoledì 30 ottobre si apre la stagione dei tribunali per alcuni di noi. Che si tratti di un centro popolare, che si tratti di famiglie senza casa, che si tratti di contrastare la militarizzazione della Sicilia, per noi nessuna lotta va processata, in nessun tribunale da nessun giudice.
Allo stesso tempo però,  più verremo perseguitati  e più avremo conferma di essere sulla strada giusta: la strada che dà fastidio al Sistema.
A ogni denuncia recapitata ci stringeremo attorno alle nostre compagne e ai nostri compagni. A ogni processo saremo presenti fuori dai tribunali a portare il nostro sostegno. Mai finiremo di scendere per strada, presidiare, occupare e contrastare.
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LE LOTTE DELLE COMPAGNE E DEI COMPAGNI NON SI PROCESSANO!
Solidali e complici, sempre e per sempre!

#19O: le nostre considerazioni

 

Il nostro 19 ottobre inizia a mesi fa. Parte da una folta assemblea romana nella scorsa primavera, passa dalla due giorni in Val Susa e arriva poi a questo ultimo mese, fatto di assemblee, incontri, date e mobilitazioni locali. In tutti questi mesi il 19O è diventato per sempre più realtà non solo una data in cui scendere in piazza ma anche la possibilità di rilanciare il movimento. Da qui la nascita di una piattaforma dai toni antagonisti, ma davvero, del tutto scevra da rappresentanze sindacali e partitiche, che invita la gente alla sollevazione generale e all’assedio dei palazzi del potere.

E così è stato.

Sabato 19 ottobre siamo partiti dalla stessa Piazza San Giovanni lasciata due anni prima, nello stesso periodo. La piazza è stracolma. La composizione sociale del corteo è fin da subito chiara a tutti e stupisce per la sua diversità e per la sua bellezza particolare: aprono la via quelle famiglie che, non avendo una casa, l’hanno occupata insieme ad altri. E ci sono tutti, dai romani, ai migranti, fino ad arrivare ai rifugiati politici. A seguire, i movimenti territoriali NoTav e NoMuos, poi i tanti spazi sociali occupati di tutta Italia… siamo in 70.000, con picchi di 100.000. Invadiamo Roma e sanzioniamo il sanzionabile: dal ministero dell’economia, alla cassa depositi e prestiti, passando per la sede di Trenitalia. Nonostante la presenza provocatrice dei fascisti di Casa Pound (chiaramente protetti dalla polizia), nonostante delle cariche spezzano in due il corteo davanti al ministero dell’economia, tutti riescono a raggiungere Porta Pia, da dove ha preso via l’acampada che durerà fino a martedì.

In assemblea domenica mattina la soddisfazione era generale. È emersa la volontà di voler continuare, senza se e senza ma: Porta Pia è dunque solo una tappa di avvio. È stata inoltre ribadita la volontà di non voler più mediare con nessun attore istituzionale e non, avendo chiaro che qualsiasi cosa, dalla casa, al reddito alla liberazione dei territori dalle opere inutili e dannose passa da una conquista fisica e politica portata avanti dal basso, senza deleghe o contrattazioni a ribasso. Il prossimo appuntamento è per metà novembre per continuare a costruire, come si è fatto fino ad oggi, altre tappe.

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Sulla giornata di sabato non possiamo che essere soddisfatti. La presa di Porta Pia con un corteo così variegato e pieno di sfaccettature sociali è un fenomeno da non sottovalutare. Rivendichiamo tutto quello che è successo, perché la piazza era unica e così gli obbiettivi. Riteniamo del tutto sproporzionata la risposta repressiva che ha portato a 15 fermi, almeno la metà trasformatisi in arresti. Non esprimiamo semplice solidarietà con le compagne e i compagni fermati e arrestati, ingiustamente, ma ci diciamo complici delle azioni della piazza, in quanto tutte espressione della stessa rabbia e dello stesso disagio comune.

Infine, ci preme sottolineare che queste decine di migliaia di persone sono scese in piazza con una piattaforma e delle parole chiave totalmente slegate da qualsiasi partito o sindacato: noi con questo 19O abbiamo dimostrato che non abbiamo bisogno delle grandi firme per lanciare delle grosse mobilitazioni, che non dobbiamo elemosinare scioperi generali e non dobbiamo nascondere la nostra identità antagonista per paura di risultare incomprensibili… o minacciosi alla gente. Siamo scesi in piazza invocando un assedio ai palazzi del potere e così abbiamo fatto, insieme alle compagne e i compagni ed anche famiglie intere.

Questo ci fa intendere che i tempi sono maturi per poter iniziare un percorso, per cui, distinti metodi e pratiche, fissati degli obbiettivi, si costruisca in maniera comune con quei soggetti sociali che vivono sulla propria pelle la crudeltà della crisi e della mala politica, senza per questo snaturarsi o diluire la propria identità antagonista.

Ci auspichiamo che anche Catania, a livello cittadino, sia pronta a questa nuova ondata di movimento, in cui pratiche da sempre demonizzate, anche da realtà che in teoria dovrebbero comprenderle e tollerarle, riescano invece a diventare di tutti e diventino una soluzione possibile.

Sabato abbiamo assediato Roma. Adesso, assediamo ogni città.

UNA SOLA GRANDE OPERA: CASA E REDDITO PER TUTT*!