Quando nel maggio scorso a Maletto vinse un sindaco candidato con Lega Nord nessuno poteva crederci.
Sembrava uno scherzo, una di quelle cose che capitano una volta, “per sbaglio”.
A svariati mesi da quel risultato elettorale, nasce “Noi con Salvini”, un modo che la Lega Nord ha trovato per provare ad allargarsi a livello nazionale su più territori, sotto l’egida del segretario Matteo Salvini.
Progetto politico di respiro nazionale, con lo slogan “Prima gli Italiani”, che adesso cerca consensi pure al Sud. Persino in Sicilia, dove la guida del partito è nelle mani dell’onorevole democristiano Angelo Attaguile, convinto autonomista.
Dopo la presentazione del progetto politico a Palermo qualche settimana fa (seguita da grosse critiche e dubbi per l’assenza di Salvini), domenica 8 febbraio “Noi con Salvini – Sicilia” organizza un incontro pubblico all’hotel “Le Palme” di Palermo, con la presenza del leader massimo, Matteo Salvini.
Tutto ciò ci sorprende, e non poco. Da Terroni, non scordiamo la merda che è stata sputata sul Sud e sulla Sicilia, quando la Lega Nord ci discriminava e ci denigrava, facendo apparire il meridione come il fulcro dei problemi dell’Italia, abitato da gente ignorante, parassita della società e senza voglia di lavorare.
Non volendo basare le nostre considerazioni solo su “cose passate”, ci siamo andati a leggere cosa vuole questa gente.
Il programma politico riguarda soprattutto i clandestini, gli extracomunitari e i rom, rendendoli capri espiatori di molti problemi (un po’ la stessa cosa che la Lega di Bossi faceva in passato col meridione d’Italia). Le proposte in merito sono molto chiare e categoriche: la fine di Mare Nostrum (ovvero quel programma che evita la morte di centinaia di persone in mezzo al mare e rende obbligatoria l’accoglienza degli immigrati) perché, a dire di Salvini,la marina Italiana deve limitarsi a difendere il territorio; è poi previsto il reinserimento del reato di clandestinità, per cui gli immigrati “irregolari” possono essere condannati e arrestati (come se non bastasse già la reclusione che devono subire nei centri di accoglienza); ovviamente poi lo sgombero di tutte le occupazioni abitative da parte degli extracomunitari. Insomma, tutte proposte palesemente ispirate a motivazioni razziste. Ma c’è dell’altro. Perché se la Lega ancora promuove l’indipendenza della fantomatica padania, sul piano nazionale punta all’autonomia italiana e quindi l’uscita dall’Europa. Ciò si traduce non solo nell’uscita dall’euro zona (e dunque il ritorno alla lira) ma anche dall’accordo Schengen, quell’accordo che ci permette di muoverci liberamente da un paese europeo a un altro, senza frontiere. Ultimamente poi Salvini e la sua cricca puntano in maniera decisa a un rafforzamento di tutti gli organi delle forze dell’ordine, con la scusa di “combattere il terrorismo islamico” , e la proposta di far giurare fedeltà allo stato italiano ad ogni cittadino. Naturalmente non può mancare il rispetto delle “Tradizioni” e della “Famiglia tradizionale”, il che si traduce nell’avversione a religioni
differenti dal Cristianesimo e ai matrimoni gay.
Questo programma ricco, le cui radici affondano in sentimenti omofobi e razzisti, con un sottile retrogusto di fascismo, non poteva che attirare personaggi vari, provenienti da diversi tipi di “destra”. Ci ritroviamo molti vecchi seguaci di Berlusconi, personaggi provenienti dal MSI e AN, ma anche una forte vicinanza di “Fratelli d’Italia”. La ciliegina sulla torta però è Casa Pound Italia (gruppo di estrema destra o, come piace dire a loro, “fascisti del terzo millennio”) che si trova molto vicino a questo progetto politico. Talmente vicino che i momenti di piazza condivisi da militanti di Casa Pound ed esponenti della Lega Nord sono aumentati nei mesi. In effetti, sentendo le dichiarazioni di Salvini e leggendo il programma politico di Lega e “Noi con Salvini”, non è difficile capire cosa accomuna leghisti e Casa Pound (tant’è che in “Noi con Salvini – Sicilia” uno degli esponenti fa parte proprio di Casa Pound Palermo). Talmente affini politicamente che la Lega Nord, prima di natale, ha finanziato le casse di Casa Pound che erano in rosso. Non solo vicinanza politica quindi.Ecco cosa è oggi la Lega e come tenta di fare con “Noi con Salvini”: allargarsi a livello nazionale, cercando voti al tanto denigrato SUD, dando spazio e supportando gruppi neofascisti (che quando non sono a rilasciare interviste, picchiano la gente fino a mandarla in ospedale, in coma). Per questo domenica 8 febbraio saremo a Palermo, in quella che è stata ribattezata “giornata dell’ Orgoglio Terrone“, perché ci sembra giusto dare un “caloroso benvenuto” a Matteo Salvini. È giusto che sappia che il Sud non solo non dimentica di essere stato denigrato e discriminato per anni, ma non accetta e condanna un partito che promulga la discriminazione delle minoranze e da spazio a quei neofascisti che istigano all’odio e alla violenza. Perché questo nostro SUD non è solo orgogliosamente terrone, ma anche orgogliosamente antifascista.
Tutti gli articoli di Aleph
Restare Umani – ancora sulla morte di Francesco
Mercoledì mattina una notizia più di altre ci ha colpiti: l’uccisione di un ragazzo di
venti anni e il ferimento grave di un ragazzo di 15 anni a seguito di un tentativo di rapina in un distributore.
Le dinamiche sembrano essersi parzialmente chiarite, anche se ancora i video delle telecamere del benzinaio non sono di dominio pubblico.
La cronaca
Francesco, e tre altre persone, di cui due minorenni, tentano una rapina nella notte tra martedì e mercoledì in un distributore di benzina in tangenziale. A sentire i parenti dei ragazzi, Francesco è da mesi senza lavoro e la rapina serve proprio ad avere a disposizione del denaro per campare. La dinamica dell’accaduto sembra essere stata questa: con due pistole finte, tre dei quattro vanno alla cassa del distributore. Un poliziotto fuori servizio si trova proprio dentro al bar del distributore e interviene, arrestando uno dei tre ragazzi. Gli altri due scappano fuori e vengono intercettati dal collega del poliziotto presente all’interno. Lui spara: Francesco è colpito alle gambe e muore dissanguato, il ragazzo di 15 anni viene colpito alla testa.
Il ragazzo ferito è ricoverato in gravi condizioni all’ospedale, l’altro minorenne scappa e non è ancora stato trovato.
Le reazioni
Ci siamo ritrovati davanti a questo, e d’istinto abbiamo reagito, ci siamo sentiti in dovere di dire qualcosa, nonostante sapessimo che il quadro non fosse molto chiaro, nonostante alcuni dettagli non fossero ancora definiti. Nonostante sapevamo di poter risultare “impopolari”.
A diversi giorni di distanza, tolto l’impulso del momento, ritorniamo sull’argomento, perché ci teniamo a spiegarci meglio, ad esprimere meglio quello che pensiamo di questa situazione spinosa.
Partiamo affidandoci alle parole dei familiari (che potete tranquillamente accusare di essere di parte): questi ragazzi vengono da Librino, quartiere certamente non fra i più semplici della città, e avrebbero agito spinti dal bisogno, dall’assenza di lavoro, dalla necessità di avere qualcosa di cui vivere.
Ora, noi non conosciamo direttamente Librino. Lo conosciamo indirettamente tramite le esperienze di tante persone che lavorano in quel quartiere, per le sue strade, ogni giorno. Conosciamo però altri quartieri popolari della città, complessi alla stregua di Librino, come Picanello e Antico Corso, che stiamo imparando a conoscere.
Sono quartieri in cui può capitare che un ragazzino di 15 anni smetta di andare a scuola, per semplice retaggio culturale o proprio perché c’è bisogno che “produca”- lavori – porti “i soldi a casa”. Sono quartieri in cui spesso il lavoro manca (e non da ora perché c’è la crisi, anche da più tempo) e se c’è è spesso sottopagato. La retta via in certi quartieri spesso ti porta a sgobbare tutto il giorno per pochi euro, e questo non basta per vivere dignitosamente. In certe situazioni, una cosa che può accadere è che si fanno delle scelte di vita azzardate, “sbagliate”. Si entra nel giro di spaccio (è una cosa semplice, che possono fare anche i ragazzini) o magari ci si ritrova a rapinare un distributore di benzina, per fare degli esempi.
Questo è il famoso contesto a cui più e più volte ci riferiamo e ci siamo riferiti. È certo una forte generalizzazione, ma non possiamo ignorarlo perché è una realtà che esiste e che determina molte dinamiche di quartiere. Non sono luoghi di vita in cui si vive in maniera lineare; in certi luoghi i concetti di legittimo e illegittimo, giusto e sbagliato, legale e illegale di mescolano, non hanno confini, smetti di distinguerli. Nel bene o nel male.
Perché?
Entrando in contatto con tutto questo è naturale chiedersi “come è possibile?”. La prima cosa che ti aspetti, se sei ancora una persona che nutre ancora un minimo fiducia nello stato, è proprio un un suo intervento, attraverso sussidi, servizi sociali, scuola, aiuti, piani educativi e lavorativi.
Lo stato, come il Comune, in questi quartieri esiste, certo, ma in forme che i sopracitati fiduciosi nello stato forse non si aspettano: chiude le scuole nei quartieri a rischio per mancanza di fondi; chiude gli asili pubblici, lasciando spazio ai privati; non assegna le case popolari né tanto meno pensa a sfruttare i fondi esistenti per ristrutturarne o costruirne di nuove; multa il baracchino dove vendi della merce perché “non in regola”; taglia alla sanità, perché i buchi procurati dai dirigenti adesso sono più alti e devi portarti i medicinali da casa se vuoi essere curato all’ospedale. Queste sono le soluzioni dello stato. Lo stato di diritto.
E quando occupi una casa o non ti fai sfrattare da casa perché non hai pagato l’affitto, quando allacci “illegalmente” la luce perché non puoi pagare le bollette, quando magari vai in piazza Duomo a chiedere conto alle istituzioni dei diritti e della dignità che ti è negata… ricevi sfratti, polizia, sgomberi, denunce.
Lo stato o è assente o è presente in questo modo.
Che fare?
Questi sono i luoghi che abbiamo imparato e che stiamo imparando ancora a conoscere, a capire.
Mettendo da parte tante convinzioni, tentando di esserci, di starci dentro, senza tanti complimenti, con tutte le contraddizioni e complicazioni del caso. Ben lontani dall’essere portatori di soluzioni, semplicemente facciamo quello che pensiamo sia giusto fare: trovare soluzioni comuni a problemi comuni. Senza delegarne la responsabilità a nessuno. Così nasce il doposcuola gratuito, così nasce lo sportello antisfratto, così nascono i momenti di aggregazione aperti a tutti. Il tutto dentro l’ennesimo posto abbandonato in città, e da noi occupato. Azione illegale (alla salute dei benpensanti) ma per noi legittima.
Tornando a Francesco
Queste nostre esperienze, anche se lontane dal quartiere di Librino, ci fanno comunque sentire molto vicina quella realtà. Siamo ancora una volta convinti del fatto che invocare più polizia o azioni di polizia più dure non sia la soluzione. Questo non significa plaudire ad ogni rapina fatta da “chi ha bisogno”. Però non significa nemmeno puntare il dito né, tanto meno, giustificare dei colpi di pistola, un morto e un ferito grave. Il punto è che con i fatti accaduti, ancora una vita si conferma la situazione in cui lo stato per certe persone è presente solo in alcune forme e non agisce sui contesti di cui sopra per evitare certe situazioni.
Guardare i contesti. Sempre.
Guardare i contesti quando si tratta dalla rapina al distributore; guardare i contesti quando si tratta della militarizzazione del centro storico. I contesti, dentro cui nasciamo, ci formiamo, viviamo e che contribuiamo a creare. Da quello bisogna partire. E su quello bisogna lavorare.
Francesco non è solo vittima dello stato perché ucciso da un poliziotto. Francesco è vittima dello stato come molti altri perché lo stato lo ha conosciuto nel suo quartiere solo nelle sue forme repressive, e mai per quello che dovrebbe essere: formatore, sostenitore, aiuto. Ecco perché Francesco, almeno per noi, è una vittima dello stato.
Un ultima cosa.
Dopo aver pubblicato le nostre prime considerazioni, alcuni hanno apprezzato, molti altri ci hanno criticato. Va benissimo ed eravamo consci che la nostra sarebbe stata una posizione impopolare.
Su una cosa però non possiamo rimanere impassibili: essere felici, quasi inneggiare per la morte di Francesco, sperare che il ragazzino oggi in prognosi riservata muoia anche lui (così è “uno in meno”) forse è troppo. Per tutti. Perché la vita umana, al di là dei soldi, al di là dell’illegalità, al di là dei contesti, vale più di tutto. La vita di Francesco valeva più di queste cose. La vita di un quindicenne vale più di queste cose. Possiamo tollerare tante cose, scritte e dette sul nostro conto oggi, ma non possiamo tollerare certi commenti soddisfatti per la morte di un ragazzo e la possibile morte di un ragazzino.
Più che schierarsi contro o a favore in questi casi, sarebbe bene solo ricordarsi di “Rimanere Umani”.
Carnevale sociale all’Antico Corso
Dopo l’esperienza della Tombolata in quartiere, intendiamo costruire una nuova giornata di socialità, aggregazione e divertimento all’Antico Corso, quartiere in cui orami ci troviamo da qualche mese.
Vogliamo colorare e riempire le strade del quartiere attigue al Centro Sociale Liotru, che ci ospitano e che viviamo giorno per giorno. Per questo proponiamo un carnevale sociale e autorganizzato, in quartiere popolare dimenticato e spesso scomodo, in cui i momenti di aggregazione sono radi. Intendiamo organizzare e vivere un momento di socialità per tutte e tutti, grandi e piccini, insieme agli abitanti del quartiere e non. Una sfilata musicale, piena di giochi, addobbi, costumi e colori che animerà questo Carnevale conquistato, che ha bisogno della partecipazione di tutti.
Per un 14 febbraio allegro, per un carnevale sociale!
Artisti, musicanti, giocolieri, creativi, appassionati di costumi, addobbi e musica: è il vostro momento!
AIUTACI A COSTRUIRE IL CARNEVALE SOCIALE:
Appuntamento per tutti VENERDì 30 gennaio ALLE 17:00 AL Centro Sociale Liotru, via Montevergine,8.
Appuntamento per tutti VENERDì 30 gennaio ALLE 17:00 AL Centro Sociale Liotru, via Montevergine,8.
Non c’è condanna per chi lotta!
Abbiamo tutti in mente, vivide, le immagini della Libera Repubblica della Maddalena. Un’esperienza di resistenza e riappropriazione dal basso, di vita e politica comune che difficilmente si può dimenticare.
Oltre a quel mese e più d’esperienza comune, ricordiamo bene anche la repressione, violenta e indiscriminata che abbiamo dovuto subire, per ben due volte due volte. Il 27 giugno 2011 prima, durante lo sgombero della Libera Repubblica, e il 3 luglio 2011, durante il corteo comune che ha attraversato la valle. Ruspe e idranti prima, manganelli e lacrimogeni dopo.
Inutile ripetere ciò che è stato, raccontare ancora la cronaca di quello sgombero, la cronaca di quella manifestazione. Inutile ripeterlo perché tanto è stato detto e tanto è stato raccontato. Per quanto ci riguarda, basta il ricordo dei polmoni pieni di gas CS e le teste spaccate di molte e molti dai manganelli; le tende divelte e i bracci meccanici che si muovono, incuranti, sopra le teste di esseri umani.
In questi ultimi mesi quelle giornate hanno rivissuto però, attraverso le immagini e i racconti, nella ormai tristemente nota aula bunker delle Vallette di Torino. 53 imputati in tutto sotto processo per reati come violenza e minaccia a pubblici ufficiali, attraverso lancio di pietre, bombe carta e razzi di segnalazione, oggetti contundenti; il tutto accompagnato da diverse aggravanti e una narrazione generale che parla, ancora una volta, di gruppi organizzati quasi militarmente.
53 imputati, dicevamo, per cui le pene richieste dai PM erano davvero spropositate, ingiustificate, ingiuste.
Ieri la sentenza di primo grado.
Su 53 imputati, 47 condannati e 6 assolti. In tutto, le pene per i compagni e le compagne raggiungono i 140 anni di carcere complessivi, e più di un centinaio di migliaia di euro di risarcimento. Per alcuni compagni, la condanna ha superato la richiesta fatta dai PM (come nel caso di Elena, David, Giuseppe, Gianluca e molti altri).
In un momento in cui l’impianto accusatorio dei PM nei confronti dei compagni accusati di terrorismo è miseramente caduto; in un momento in cui è palese che avevamo ragione, che il TAV è inutile e adesso non ci sono più nemmeno i soldi per farlo, questa notizia suona dissonante, stonata. O forse guidata da ragioni che poco hanno a che vedere con la legge e la razionalità. Con la giustizia.
I compagni valligiani parlano di “vendetta di Stato”, e noi non possiamo che essere d’accordo.
Vendetta che si scaglia sotto forma di repressione giudiziaria su un grande movimento che in tanti anni di resistenza ha dimostrato e insegnato tanto.
Dal canto nostro, abbiamo imparato tanto dal movimento No Tav e in Val di Susa ci siamo sempre sentiti a casa. Non possiamo che esprimere la più grande solidarietà verso i condannati e stringerci attorno a tutte e tutti, anche se virtualmente.
Insieme al movimento abbiamo vissuto grandi momenti di resistenza collettiva.
Ancora non è finita, ancora dobbiamo reggere, insieme.
Si riparte quindi, senza alcun rimorso.
A sarà dura!