‘Mi votu e mi rivotu suspirannu Passu li notti nteri senza sonnu E li biddizzi tò iu cuntimplannu Li passu di la notti nsinu a jornu Pi tia nun pozzu ora cchiù arripusari paci Nun avvi cchiù st’afflittu cori Lu sai quannu t’aiu a lassari Quannu la vita mia finisci e mori’
Viviamo in un periodo storico in cui si sperimentano continuamente nuove fasi e modalità di sfruttamento. Un periodo storico in cui può succedere che il lavoro divenga “volontariato”, che la ricerca diventi un “hobby” e l’emigrazione una “risorsa” ed in cui in cui i processi economici e di sfruttamento fanno saltare la retorica che era in auge non molti anni fa, quella dell’ empowerment ovvero della necessità di ascoltare e coinvolgere la cittadinanza nei processi decisionali. Oggi infatti i governi non mostrano nessuna remora nel palesare la distanza ed il distacco dalle istanze e dai bisogni della popolazione di riferimento: di tutto ciò è oggi espressione il governo Crocetta che, tra i rimpasti di poltrone, lo svilimento delle risorse, la svendita dei territori e la sottomissione abulica ai poteri economico-politici nazionali e sovranazionali, rappresenta a pieno il distacco dalle reali esigenze della popolazione.
Le responsabilità non sono da ricondurre solo alla giunta Crocetta, benché questa non se ne faccia mancare una, ma anche alle giunte precedenti e al trattamento che i governi locali e nazionali nel tempo hanno riservato alla regione Sicilia.
E’ chiaro, il quadro è limitato, ma lo riteniamo sufficiente per esplicitare come sia, a nostro avviso, il tempo della territorialità.
Se il territorio può essere il nostro campo di battaglia, lo è ancora grazie a due importanti fattori: la comunità, l’appartenenza e la concretezza dell’esplicitazione dei processi di sfruttamento, siano essi ambientali, umani, lavorativi.
Dicevamo già mesi fa:
<“Territorio” diventa il quartiere in cui si abita, le scuole e le università che si frequentano, i (tanti e vari, spesso vacui) luoghi di lavoro precario e sottopagato. Questo il nostro territorio, al di fuori dai contesti rurali dei movimenti territoriali a cui siamo legati, questo il terreno da cui nasce e si sviluppa la nostra esigenza di resistere. Sovvertire quella che sembra, anche se così non è, la naturale tendenza ad essere sudditi e soggetti passivi alla pressione economica, sociale e politica che viene da palazzi, borse e governance, è un passo che necessariamente ha a che fare col concetto di autorganizzazione, intesa come partecipazione, comunità vissuta e condivisa, prima forza motrice del cambiamento e della creazione di “altro”, partendo proprio dai propri territori quotidiani.”>
In quest’ottica, la costruzione di un percorso di mobilitazione condivisa, che veda proprio questi territori a confronto, nelle loro specificità e concretezze, può oggi rompere alcuni argini che, in Sicilia, siamo abituati a seguire.
Spazzata via dalla memoria collettiva quella parte di storia che vede il popolo siciliano, e non solo, protagonista di un tentativo di riscatto, l’andazzo generale è sempre stato quello di vedere la Sicilia, ma anche in resto del Sud, come un bacino da cui attingere pieno di pedine da poter spostare e sfruttare a seconda delle contingenze. Ecco perché riteniamo utile che la gente si senta e si mostri “soggetto attivo”: comunità pensante e in lotta.
Momenti di confronto regionali oggi possono dare corpo a questo soggetto, farlo vivere ed animarlo.
Il prossimo passo sarà quindi quello di ritrovarci a Catania domenica 31 gennaio perché si possa creare ancora una volta un’arena di respiro regionale che, seppur nelle differenze, ritrovi nella lotta e nella voglia di riscatto comuni denominatori per creare comunità e movimento verso mobilitazioni nei singoli territori e verso la manifestazione del 30 marzo contro l’operato del governo Crocetta.
Assemblea Regionale – domenica 31 gennaio ore 15:00 al Centro Sociale Liotru (via Montevergine 8)
Manifestazione Regionale contro Crocetta: https://www.facebook.com/events/215313882145935/
Qualche mese fa la sentenza certamente positiva e il sequestro dell’impianto MUOS a Niscemi fecero sperare, anche se in maniera celata, molte persone, a Niscemi e non solo. Da parte nostra, per quanto sia stata una tappa certamente considerevole, l’entusiasmo non è mai stato troppo: a prescindere quindi dalle nostre convinzioni e prese di posizione, è la storia stessa del movimento che non ci ha resi particolarmente entusiasti della sentenza del TAR.
Pochi giorni fa, dopo mesi di attesa, udienze e rimandi, arriva la tanto attesa sentenza (non definitiva) del CGA che, appunto, ribalta la situazione. Non convinta degli studi fino ad ora fatti, dei chilometri di relazioni scritte da diverse parti, ha pensato bene di istituire un nuovo gruppo di “esperti” per valutare l’impatto delle antenne MUOS sul territorio circostante in diverse situazioni. Questo nuovo gruppo questa volta è formato da un esperto del CUN, uno del CNR e tre scelti dai Misteri dei Trasporti, Salute ed Ambiente. Inutile qui dilungarsi sul fatto che, naturalmente, la bontà e l’imparzialità di quello che uscirà nei prossimi mesi da questo nuovo gruppo è fortemente messa in discussione, semplicemente per la forte coesione tra governo italiano e statunitense in tema di difesa e politiche militari. Quindi su questo non ci soffermeremo. Tornando quindi alla faccenda della sentenza, non vogliamo nemmeno esordire con “lo sapevamo”, non è nel nostro stile e non fa parte del nostro modo di stare all’interno del movimento. Una cosa però è certa: se si pensava che uno spiraglio si fosse aperto, si sta rapidamente richiudendo. Quindi forse è arrivato il momento di capire come ritornare in piazza a parlare di guerra, devastazione del territorio, militarizzazione e quant’altro.
Non a caso quindi nella notte tra il 6 e il 7 settembre, un gruppo di attivisti ha deciso di rispondere in maniera chiara alla sentenza del CGA. Diversi pezzi di rete sono stati tagliati in modo tale da costringere la marina militare a cambiare diversi metri di rete. Gesto simbolico (e nemmeno tanto) che fa pensare come la ripresa, per esempio, di azioni dirette di disturbo e (soprattutto) danneggiamento alla base sia necessaria.
Quando in tante e tanti abbiamo iniziato ad opporci al MUOS, nessuno pensava che sarebbe stato stato semplice lottare e vincere; avevamo tutti chiaro in testa che sarebbe stata una lotta di lunga durata, sulle spalle di attiviste e attivisti che raramente avrebbero avuto un supporto istituzionale reale e degno. Eccoci ancora qui quindi. Tornare indietro non si può, e nessuno ne ha intenzione.
Naturale è stato, durante il taglio, appendere uno striscione in solidarietà agli arresti avvenuti nella notte precedente in Val di Susa a danno di alcuni notav. Dalla Valle all’Isola non solo la lotta non si arresta, ma la solidarietà non manca mai.
“Una mobilitazione riuscita quella di oggi, 21 Febbraio, a Torino: 15.000 persone in piazza, presente il popolo No Tav delle grandi occasioni, assieme a migliaia di solidali arrivati da tutta Italia (e anche oltre).”
“E’ questo è stato, una manifestazione grande, veramente grande, che sotto una pioggia battente ha mostrato le facce di chi lotta, le fasce dei sindaci, le bandiere di tanti, il trenino con i bambini e gli anziani, i cartelli con i costi del tav, gli striscioni di solidarietà, la geografia resistente delle lotte per il territorio.”
E’ molto bello leggere i toni entusiastici del movimento, vedere le foto di una Piazza Castello stracolma di gente, leggere che in 15.000 i no tav hanno attraversato Torino, smontando del tutto le iniziali ripercussioni di alcuni sulla scelta della città al posto dell’abituale Valle. Tutto ciò è molto positivo e fa un gran piacere. Ma sarebbe stato molto meglio vederlo coi proprio occhi piuttosto che leggerlo; sarebbe stato molto meglio sentire il calore del popolo no tav in una uggiosa giornata di pioggia piuttosto che leggere stralci di interventi a fine corteo. Sarebbe stato quindi bello esserci ma, se sei un no tav e ieri partivi da Milano questa possibilità ti è stata automaticamente preclusa.
Cosa è successo.
Dalle 8.00 del mattino la stazione centrale di Milano inizia ad essere presidiata dalle forze dell’ordine, a controllare non si sa bene cosa. Qualche ora dopo, un gruppo di no tav (diciamo una settantina, arrotondando per difetto) arriva in stazione e, con un biglietto collettivo, sale sul treno che doveva partire alle 11.18 alla volta di Torino. Iniziano i controlli a tappeto sul treno, arriva l’antisommossa che si schiera all’inizio del binario e davanti ai vagoni pieni di no tav, mentre un gruppo folto di digossini inizia a parlare con gli attivisti. Bisogna pagare tutti i biglietti, anche i pochi non coperti dal biglietto collettivo. Inizialmente gli attivisti si rifiutano “piuttosto occupiamo i vagoni”; la risposta è chiara e arriva dalle forze dell’ordine, che comunicano al capo treno e ai controllori “la situazione è semplice: o si regolarizzano o il treno non parte”. Infatti, il treno delle 11.18, certamente pieno di no tav, ma anche di altri passeggeri, non parte. Inizia una lunga trattativa che, non soltanto blocca la partenza di un altro treno (quello delle 12.18) ma si conclude con il pagamento da parte degli attivisti dei biglietti scoperti e di una multa. Insomma, nel giro di un’ora e mezza sono stati pagati più di 500 euro tra biglietti e multe. Intanto, i passeggeri “normali” hanno cambiato tre treni, tutti e tre rimasti fermi, salendo ad uno ad uno, dall’unica porta aperta del treno, con uno o due controllori che chiedevano il biglietto.
Agghiacciante.
Poco prima delle 14.00, pagato il salato conto, e dopo tre treni non partiti, due treni pieni partono da Milano direzione Torino.
Alla stazione di Rho il treno si ferma come di consueto ma non riparte pochi minuti dopo. Il capotreno comunica “problemi di ordine pubblico” dovuti da “manifestanti” che, a quanto pare, anche a Rho volevano salire senza biglietto. Peccato che fuori non c’è nessuno se non, ancora, antisommossa e digos. Dopo mezz’ora ripartiamo, con in testa l’idea, sempre più chiara, che questo treno non lo guida più un macchinista, che il capotreno non parla più per bocca sua.
Il treno dunque riprende il viaggio, iniziamo a chiamarlo “treno speciale”: partito a luci spente (solo poi accese) non annunciato in nessuna stazione, totalmente fuori orario, con poche porte utilizzabili. Arriviamo alla stazione di Novara. Anche qui, ci fermiamo ma non ripartiamo. Arrivano poco dopo gli altri due treni da Milano che, nella mattina, erano saltati. Arrivano e si fermano, anche loro. Tutti scendono dal treno e, ancora una volta, veniamo accolti in stazione da antisommossa e digos. Passano i minuti e non si muove nulla, non si capisce il motivo del blocco che ormai non coinvolge solo i treni Milano-Torino ma che diventa di tutti i binari dei treni. Quando lo speaker della stazione annuncia che i treni da e per Milano avrebbero subito tutti dei ritardi imprecisati a causa di “manifestanti notav” allora tutto diventa molto più chiaro e palese: non dobbiamo arrivare a Torino, assolutamente. Non importa se la stazione è anche piena di gente pendolare, lavoratori, famiglie. A Torino non si arriva. Il gruppo di no tav torna dunque a fronteggiarsi con la polizia, blocca per pochi minuti i binari della stazione gridando “Il corteo lo faccio qui!”.
La conferma dello squallido gioco delle forze dell’ordine arriva, quasi sottovoce, da uno di FS quando ammette che non decidono loro, che non hanno idea di quando si sbloccherà la situazione, che dipende dal Prefetto. Se per lui va bene, si parte, altrimenti si sta lì.
In stazione si crea un gran caos: da un lato i no tav che giustamente denunciano un blocco ingiustificato dei treni; tutto intorno gli altri passeggeri che tentano di capire, chiedono, si arrabbiano, sbuffano. Dopo le 16.00 lo speaker annuncia la partenza del treno verso Torino “dal binario 3”. Si sale tutti insieme, stretti stretti, sull’ennesimo “treno speciale” della giornata.
Dopo poco più di un’ora si arriva a Porta Susa ma, se sei no tav, non scendi lì: la polizia, sempre in antisommossa, è lì pronta ad accogliere il gruppo milanese. Si tira dritto a Porta Nuova dove, essendosi conclusa la manifestazione, un gruppo di compagni presenti al corteo ha raggiunto la stazione per accogliere “i milanesi”. Si riesce ad uscire dalla stazione e, in una Torino bagnata e militarizzata, si parte in corteo spontaneo prima verso piazza Castello, poi verso la Cavallerizza Occupata.
Tensione, a tutti i costi.
Quello che è successo ieri tra Milano e Torino è molto grave, sotto molto profili, e deve aver colpito qualsiasi persona di buon senso.
Infatti, da un lato il profilo repressivo, privo di fine, messo in atto dalle forze dell’ordine e le questure. Trenitalia nelle mani della polizia che una volta deciso, in maniera assolutamente arbitraria, che “a Torino oggi non si arriva”, si prende il potere di bloccare fino a tre treni e tantissime persone a bordo, dalle più diverse. Repressione a carico dei no tav che, in forme sempre nuove, si manifesta sotto forma di abuso di potere.
Dall’altro, gli eventi successi ieri tra Milano e Torino hanno permesso ai soliti servi dello stato di tirare fuori il manuale “Come ti costruisco il nemico ordine pubblico no tav”. Infatti, in un contesto di totale incertezza, in cui le informazioni che circolano vengono da un auto parlante che sbandiera “ problemi di ordine pubblico a causa di manifestanti no tav”, parlando per bocca della questura, è molto semplice che la percezione delle persone possa essere facilmente condizionabile. Fin dalla stazione di Milano, l’intento delle forze dell’ordine, agendo tramite gli impiegati FS, è stato quello di dividere passeggeri “normali” e attivisti. Gli impiegati FS passavano per i vagoni invitando la gente a spostarsi alla chetichella in altri binari, dentro altri treni, tenuti a luci spente, con tutte le porte bloccate tranne una o due, presidiata come se non ci fosse un domani. Tra le tante idiozie sentite pure “chiuda il finestrino che questi ci saltano dentro!”. A Novara però si tocca il fondo. Il palese blocco dei treni derivato dalla decisione di questori e questorini, ovviamente si cerca di presentarlo come “il blocco dei no tav” che, se è vero che hanno bloccato i binari per pochi minuti, è anche vero che capito il gioco delle forze dell’ordine, sono risaliti sui treni. Nonostante ciò, funzionari FS e digos continuavano a dare la responsabilità dei treni fermi al blocco dei binari da parte dei no tav. Solo una sapiente comunicazione da parte degli attivisti e di molti solidali tra gli altri passeggeri ha permesso di fare chiarezza, nello sgomento generale della gente. Tante persone inizialmente stizzite dalla presenza dei manifestanti (“i soliti violenti, che manifestano in maniera sbagliata, non pacifica, bloccando tutti insensatamente”), diventano solidali ai no tav che “non possono mica fare blocchi invisibili dei binari! Non ci sono, fate partire questo treno e smettetela!”.
Ed è proprio questo dato che possiamo portarci a casa, dopo la fredda giornata di ieri passata in tante stazioni del treno. Hanno provato a mettere i passeggeri dei tre treni contro il gruppo di no tav. Ma non ce l’hanno fatta perché non solo le ragioni del movimento sono troppo più forti (“ma fateli arrivare a Torino! Che tanto l’opera è veramente inutile, che male c’è a dirlo?!”), ma il tentato giochino di spacciare una mossa della polizia come un’azione diretta di blocco no tav era palesemente una bufala.
Ce ne sarebbero ancora da raccontare di episodi avvenuti in più di quattro ore di viaggio (al posto di un’ora e mezza): sui alcuni funzionari FS che sembravano più sbirri che altro (e forse lo erano davvero, perché no), del ruolo di Trenitalia all’interno di questa infinita scacchiera, degli atteggiamenti di digos e polizia, perennemente equipaggiata di casco, scudo e manganello, del fatto che arrivati a Torino, la stazione di Porta Susa era quasi del tutto chiusa e a Porta Nuova la polizia si sprecava.
Ce ne sarebbero ancora tante da dire.
È meglio chiudere il racconto di questa giornata di ordinaria repressione con l’immagine dei tanti solidali durante il viaggio e dei due gruppi di compagni che si riuniscono in stazione e partono in corteo. Perché i no tav sono ovunque e si supportano sempre a vicenda, in quanto “si parte e si torna insieme”.
140 anni di carcere complessivi per i No Tav che hanno partecipato alle due giornate di lotta del 27 giugno e 3 luglio, in occasione della sgombero della Libera Repubblica della Maddalena. Ma la sentenza pronunciata nell’aula bunker di Torino ha per tutti i No Tav il sapore di una “vendetta di Stato”. Mentre il progetto della Torino-Lione continua ad essere investito da scandali che riguardano le ditte impegnate nella costruzione e neanche il governo stesso fa più tanto mistero del fatto che i soldi per quest’opera inutile mancano, in un’aula di tribunale quello che viene processato è un movimento tutto. Condanne sproporzionate che nulla hanno a che vedere con l’applicazione della “giustizia” vogliono criminalizzare e colpire ancora un volta un movimento popolare che da oltre vent’anni resiste e lotta, senza mai un passo indietro. Dopo questa dura sentenza il Movimento No Tav torna in piazza a Torino per una grande e partecipata manifestazione nazionale.
Non potremo essere tutt* lì fisicamente, ma vogliamo ugualmente vivere e condividere il più possibile questa grande giornata No Tav
“ (…) la libertà è una cosa seria e come tale va trattata. Perché tutti insieme siamo imbattibili, perché fermarci è veramente impossibile”.
Dalle ore 15:00 in poi: Diretta telefonica con la manifestazione Realizzazione di un murales No Tav al CSO Liotru! a seguire Aperitivo NoTav!