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Governo dei professori: BOCCIATO!

Poco meno di un anno fa cadeva il governo Berlusconi e il governo Monti prendeva il suo posto. Governo, questo, di professori che avrebbe dovuto risanare la precaria situazione economico-finanziaria del paese, col PIL in calo, la disoccupazione in crescita e lo spread arrivato a livelli record. Quasi tutti i partiti parlamentari hanno, fin da subito, costituito le fondamenta di questo governo tecnico, appoggiando e sostenendo la sua presenza in parlamento. Per mesi, se da un lato c’erano i Bersani, gli Alfano e i Casini che giustificavano il loro comportamento presentandolo come “atto di responsabilità” e “unica via possibile” per il paese, dall’altro Monti e il suo governo promettevano sviluppo e crescita dopo aver “messo a posto” i conti. Dopo quasi un anno possiamo permetterci di fare un bilancio e possiamo anche permetterci di puntare il dito contro qualcuno.

– Il PIL è in calo, con stime che arrivano anche al -2,5%;
– la disoccupazione bussa pericolosamente all’11% e un giovane su tre è disoccupato;
– il tanto temuto spread, dopo una breve pausa, sembra non scendere volentieri;
– di soldi investiti in una qualsiasi attività che possa aiutare e incentivare non se ne vede l’ombra.
L’imperativo di quasi un anno di governo tecnico è stato “TAGLIARE!”: tagliare in nome dell’Europa (incarnata in frau Merkel), tagliare in nome della BCE, tagliare in nome del fiscal compact, tagliare in nome del pareggio in bilancio. Tra i tagli anche aumenti delle imposte spaventosi, oltre che l’introduzione di nuove tasse, per cui i servizi sono stati ridossi all’osso, l’incubo delle privatizzazioni è sempre in agguato e per qualsiasi persona normale, con uno stipendio normale (o un non-stipendio normale) è diventato praticamente impossibile vivere.A fronte di questa situazione, diverse aree di movimento (e non) hanno lanciato un’importante data nazionale, il 27 ottobre, per dire che non possiamo stare più a queste regole del gioco, che dopo un anno di tagli chiamati “riforme” l’esasperazione è arrivata a livelli estremi e che, se un anno fa la situazione economica reale del paese era difficile, ora è disastrosa. “No Monti day” è il giorno in cui si dice no alla riforma delle pensioni, no alla riforma del lavoro, no a questa finta lotta contro i privilegi, no al rincaro delle tasse per le solite fasce di reddito, no al taglio di servizi statali primari, no allo svilimento e alla disperazione.Se la realtà nazionale sembra già così complessa, quelle locali lo sono ancora di più, soprattutto se si volge lo sguardo a sud. In una città come Catania, umiliata e sfruttata da anni, il linguaggio della crisi e del sacrificio si parla da tempo, prima ancora che i telegiornali si accorgessero che “c’è la crisi”. I lavoratori sono già da anni sfruttati, magari in nero, e sottopagati, le istituzioni sono sempre state assenti, volgendo lo sguardo dalla parte opposta dei quartieri popolari, quelli che hanno più bisogno, quelli che sono stati lasciati alla mercé mafiosa. Quando si vive in una città dove la dispersione scolastica è molto diffusa, dove le risposte a domande e bisogni spesso vengono da chi ha interesse a mantenere la città nel degrado, dove o ti arruoli con la mafia o ti arruoli nell’esercito, le risposte del governo nazionale sono improponibili, impossibili da sostenere.

Anche Catania deve scendere in piazza il 27 ottobre per reagire ad anni di governi locali irresponsabili e impreparati, ad un anno di governo delle banche, a sciacalli che offrono precari posti di lavoro o buste della spesa per essere votati, guadagnando sulle difficoltà altrui. I nostri “no” sono in realtà dei “sì”, delle spinte propositive che portano a vedere la scuola e l’istruzione in generale come l’unico modo per riscattarsi, che pensano che delegare ad altri la responsabilità di migliorare le cose non sia più possibile e che sia ora, insieme, di prenderci le attenzioni che ci spettano e di crearci delle opportunità.

Facciamo appello alle realtà di movimento della città e ai singoli individui di mettere in piazza idee, desideri, mani e corpi, di costruire insieme un movimento di opposizione sociale dal basso, che punti alla riappropriazione delle proprie esistenze e delle proprie scelte, non più disposti a sottostare a nessun tipo di diktat.

(Per adesioni aleph@paranoici.org)

Muro pulito, Popolo muto

 

Qualche giorno fa è apparsa una foto sul  profilo facebook di Via Etnea Catania (CCN) che ritrae una scritta su un muro di Largo Paisiello col nostro sito e il nostro nome. La foto  viene pubblicata con un commento molto critico, in cui veniamo additati  come facenti parte del teppismo impunito della città. In un ulteriore  commento viene citato un punto del nostro manifesto, riguardante i beni  comuni, e si continua con una simpatica battutina.

 

Mettiamo delle cose in chiaro.

Come dice la stessa didascalia della foto postata “dietro una scritta c’è una persona, la sua  vita e il suo background”:  ciò significa che per qualcuno scritte e  graffiti sono espressione di sé stessi, un mezzo per comunicare dei messaggi, un modo per far vivere la città e la sua cultura urbana. Criminale per noi è il Comune o chi ha deciso di cancellare tutte le opere d’arte di giovani e meno giovani che in quella piazza come in altre avevano voluto esprimersi. Per noi, dunque, una scritta su un muro è espressione  di un pensiero che, fino a prova contraria, nel caso preso in considerazione, non crediamo rechi danno alla dignità o alla libertà personale di nessuno, tantomeno della città.
Non stiamo qui certo parlando di edifici storici o beni culturali, sui quali si può impostare un’altro discorso, ma di una delle più sterili piazze di Catania.Se poi volete considerarci dei “teppisti” per  questo motivo…  noi non ci sentiamo per nulla offesi.

Ringraziamo il gentile commentatore per essere andato sul nostro blog e aver letto i nostri documenti. Si, noi parliamo di bene comune, della sua tutela e della riappropriazione degli spazi che ci vengono di giorno in giorno tolti, dimezzati.
Per questo ci stupiamo del fatto che invece di parlare della nostra “intollerabile” scritta, non si parli dello spazio comune che è stato mortificato e “buttato giù nella fogna”, la piazzetta accanto (denominata squib): prima spazio pubblico a disposizione della collettività, prontamente venduto qualche anno fa ad un privato e oggi chiuso da un cancello (che fortunatamente i ragazzi scavalcano; perché, per noi, alcuni gesti sono legittimi seppur illegali: della serie, patti chiari  amicizia  lunga). Quindi, vi preghiamo, la prossima volta, di indignarvi e  accalorarvi se volete pure sulla nostra “deficienza” e la nostra mancanza di rispetto ma di controllare bene anche quelle cose, sicuramente più gravi, che accadono ma non si vedono e su cui nessuno dice niente, quelle cose di cui dovreste avere le “palle piene”, oltre le scritte sui muri (che sembrano farvi incazzare molto).

Sulla battuta, poco da dire: degli  “onesti cittadini”  non vanno in giro con dei martelli e sono persone abbastanza  intelligenti da usare la parola per comunicare e non le martellate  (cosa  di cui dubitiamo siano capaci i fascisti, dati i loro noti  metodi di comunicazione). A noi sta bene il confronto (tant’è vero che  stiamo rispondendo alle critiche sollevate). A tal proposito: la faccia  l’abbiamo mostrata per molte delle cose che abbiamo ritenuto  importanti.

L’ultimo pensiero va alla citata “maggioranza”:  con tutto il rispetto, se seguire la maggioranza significa ritrovarsi  in una città, in un paese e in un sistema globale del genere… bè,  siamo fieri di essere minoranza e di trovare ancora modo di mettere in  moto il cervello ed esprimere il nostro dissenso verso lo status quo. Se non si fosse già capito dal manifesto, non cerchiamo bacini elettorali da “rappresentare” ma cerchiamo di riprenderci ciò di cui siamo stati  privati per troppo tempo: corpo, mente, luoghi, pratiche e saperi. Se per fare  questo dobbiamo utilizzare i nostri corpi e, in questo caso, le nostre bombolette, siamo disposti a farlo.
Con il sincero invito a incanalare la  vostra indignazione e di volgere la vostra lente di ingrandimento dove se ne sente davvero il bisogno, orgogliosamente “teppisti“,

Collettivo Aleph

La risposta del Comune alla questione abitativa? Un muro di mattoni e di menzogne.

Dopo quasi una settimana di lavori, nella tarda mattinata di oggi è stato murato il portone al civico 7 di via G. L. Bernini, ultima porta rimasta aperta delle quattro palazzine che compongono l’ormai tristemente noto Palazzo Bernini.

Congratulazioni a chi, negli scorsi due mesi, ha chiesto insistentemente lo sgombero del palazzo. Prima di chiudere la questione e lasciare brindare chi di dovere però, vorremmo precisare alcune cose, giusto perché non siamo noi ad avere qualcosa da nascondere, e la chiarezza ci appartiene, evidentemente.

“Complimenti” al Comune e al Presidio Leggero

Nei giorni prima dello sgombero facce mai viste nei mesi precedenti (a parte alcune) hanno iniziato a frequentare il palazzo per qualche minuto ogni giorno, spargendo la voce fra gli abitanti dell’imminente sfratto, consigliando loro di spostarsi quanto prima, magari di cercare una casa in affitto (come se non fossero capaci di trovarsela da soli una casa in affitto potendo permettersela). Purtroppo, però, nessuna di quelle famiglie presenti al palazzo ha la possibilità economica di pagare centinaia di euro ogni mese per un paio di stanze. Dunque, la ditta chiamata dal Comune e il geometra del Comune si sono ritrovati, martedì 17 luglio, quattro palazzine interamente abitate. Bel problema se vuoi svuotare un palazzo (perché hai alle calcagna la medio–alta borghesia della città che si lamenta e chiede un intervento immediato) e non sai dove mettere 150 persone!

Il destino degli abitanti di Palazzo Bernini

Per placare gli animi di chi si è messo a chiedere spiegazioni, allora è uscita fuori la storiella del denaro da dare ad ogni nucleo familiare (all’inizio 1.000 euro a famiglia!) per pagar loro il rientro in Romania, Bulgaria o qualsiasi altro sia il luogo d’origine, e permettergli di affrontare i primi tempi. Nei giorni successivi però, i 1.000 euro sono diventati 100 euro a persona, poi 100 euro a nucleo familiare, poi solo  costi per il biglietto del pullman. Data la poca convenienza della vergognosa proposta al ribasso, solo 27 persone su 150 hanno accettato la proposta di tornare a casa, 27 persone tutte Rumene. Intanto, dato l’evolversi della situazione, qualche rumeno della seconda e terza palazzina si è spostato autonomamente dal palazzo per sistemarsi non si sa bene dove. Il resto degli abitanti di queste due palazzine ha spostato  le proprie cose sul porticato per protesta (sotto uno striscione con scritto “grazie sindaco da oggi dormiamo fuori”). Tutta la quarta e gran parte della prima palazzina si sono svuotate: erano abitate da famiglie bulgare che sono tornate in Corso dei Martiri. Due nuclei familiari della prima palazzina rimangono tuttora al palazzo, come hanno fatto le famiglie rumene. Formalmente questi spostamenti non vengono rilevati e viene dichiarato che tutti sarebbero rientrati nei rispettivi paesi di provenienza.

Dati falsi e menzogne

Le menzogne però non sono finite. Infatti è falso il dato per cui il rimpatrio (perché lo consideriamo un rimpatrio coatto a tutti gli effetti, se non puoi rientrare per un anno in territorio Italiano) sarebbe stato accettato da tutti. Ma anche per quelli che veramente vorrebbero tornarsene a casa, stanchi dell’Italia, non sono tutte rose e fiori. Ad oggi, infatti, non ci sono i soldi per pagare tutti i 27 biglietti e dunque solo 6 persone su 27 sono partite questo pomeriggio.

Le responsabilità hanno nomi e cognomi

Si sperava che il Comune avesse rinunciato almeno per oggi, visti gli impedimenti per le partenze previste, a sigillare l’ultimo accesso al palazzo. Purtroppo però, in tarda mattinata, scatta l’ordine di murare, proprio mentre inizia un forte acquazzone: non solo gli ultimi abitanti del palazzo da oggi sono senza casa, ma hanno anche tutti gli effetti personali zuppi di acqua e pertanto dovranno dormire su materassi umidi, compreso Mario, di quattro anni. Se non la logica, nemmeno la disumana condizione di queste persone hanno fermato le decisioni di chi da ordini per telefono, al sicuro, dalle sue stanzette di palazzo.

Abitato da circa 150 persone fino alla settimana scorsa, animato dai giochi e dalle risa dei bambini che scorrazzavano sotto al portico, rallegrato dalla musica suonata e ballata in allegria, addolcito dai sorrisi di chi, nonostante tutto, trova ancora il coraggio di vedere il bicchiere mezzo pieno, il Palazzo Bernini oggi si presenta come un gigante di cemento senza senso, incomprensibilmente vuoto e pieno, allo stesso tempo, dei nuovi “senza tetto” che il Comune ha generato in una settimana di intervento.

E adesso festeggiate.

Adesso potete brindare tutti, consiglieri e abitanti della “Catania bene” e non. Felici e soddisfatti: pericolo eliminato, nemico abbattuto. Che nessuno però si stupisca se usiamo parole come “ghettizzazione” e “razzismo”: perché se c’è una cosa che abbiamo imparato da questa vicenda è che Catania non accoglie nessuno, se non per interesse personale, e che l’epoca degli inspiegabili razzismi non è affatto finita. Quando vorrete spegnere il televisore, aprire la porta e uscire di casa, fatevi pure una passeggiata sotto i portici del Palazzo Bernini “liberato dagli invasori” e guardate i giochini lasciati da Narcisa, Sefora e Andrei, le scarpe di Nadia, Nicoleta o Gabriela: guardate i segni lasciati da chi sperava nella parola “domani” e che voi avete cacciato, sentitevi pure in colpa e con la coscienza sporca.

Noi forse non ci saremo, forse saremo stati buttati fuori per colpa delle vostre menti bigotte, ancora una volta, da un palazzo disabitato. Però sorrideremo ancora, e continueremo a dire che la casa è un diritto e che gli esseri umani sono tutti uguali e che hanno tutti diritto di avere le stesse opportunità.

Collettivo Aleph

Catania ricorda Carlo Giuliani!

Undici anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera.

Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, Noi ricordiamo!

Per questo abbiamo deciso di vivere un pomeriggio per Carlo Giuliani con musica, dibattiti e la realizzazione di un murales.

Per non dimenticare, per continuare insieme la stessa lotta abbiamo deciso di farlo nel luogo che proprio in questi giorni è stato teatro della brutalità delle istituzioni catanesi, il Palazzo Bernini.

Un pomeriggio che ci ricorda che “Genova non è finita!