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Perché #sui17cimettiamolafirma e non solo

11072271_10206715533112588_735751105_nUna settimana fa la notizia clamorosa di 17 obblighi di firma nei confronti di 17 compagne e compagni di Palermo, dei centri sociali Ex-Karcere e Anomalia. L’accusa è di “associazione a delinquere”, in quanto facenti parte dei due centri sociali costituitisi “al fine di commettere delitti contro l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica, il patrimonio e la persona”. Nello specifico, i fatti contestati, e per cui si è arrivata a cotanta fantasiosa accusa, sono per la maggior parte cortei e occupazioni svoltisi tra il 2010 e il 2011 contro la riforma universitaria dell’allora Ministro Gelmini.

Quel periodo è impresso molto bene nella memoria collettiva di un’intera generazione. Moltissime piazze in tutta Italia erano colme di giovani studenti, in pieno fermento politico e sociale, tutti determinati a fermare quella riforma sul mondo dell’istruzione universitaria, ennesimo atto dello smantellamento sia del diritto allo studio che della qualità della formazione (e, col senno di poi, dire che quelle piazze avevano ancora una volta ragione è forse poco). A Palermo, come in molte altre città, si sono svolte tante, tantissime manifestazioni (alcune delle quali certamente non comunicate alla questura), sono stati occupati degli edifici ed è anche successo di scontrarsi fisicamente con la polizia, unica risposta che in mesi di mobilitazione molti studenti hanno ricevuto dal governo.

Ma di questo si è parlato molto e su questo non vogliamo tornare, perché ciò che colpisce l’attenzione è altro.

Non possiamo e non vogliamo ridurre questi 17 obblighi di firma a “l’ennesimo atto repressivo ingiustificato e sproporzionato”, perché sarebbe scorretto, miope. Questi 17 obblighi di firma sono il risultato di un fantasioso quanto infame teorema in cui centri sociali impegnati sul territorio, che promuovono il diritto allo studio attraverso il doposcuola popolare e che lo sport come forma di socializzazione attraverso una palestra, diventano luoghi in cui si delinque. Il tentativo è quindi quello di distorcere il senso reale delle cose, come il valore politico e sociale di uno spazio occupato, e di provare ancora una volta a recidere ogni forma di dissenso attraverso accuse pesanti e misure sproporzionate. Così, il problema politico degli spazi che mancano, del dissenso che diventa rabbia e riempie le strade, dell’esigenza di dover insieme creare delle condizioni per risolvere dei problemi generati crisi e governi viene del tutto svilito, volutamente messo da parte e non considerato. Diventa reato di associazione a delinquere o problema di ordine pubblico. Impianto infame, fortemente sostenuto da una stampa che, senza ritegno, una settimana fa sbatteva i nomi e i cognomi di queste 17 persone tacciate di essere, appunto, delinquenti, violenti.

Criminalizzare il dissenso. Ecco quanto.

Noi sappiamo bene che Ex Karcere e Anomalia non sono associazioni a delinquere, sappiamo anche che dentro la Palestra Popolare non si allenano pericolosi picchiatori e conosciamo quelle 17 persone per quello che sono, compagne e compagni.

In queste occasioni si scrivono molte parole, dettate dal bisogno di colmare spesso delle distanze fisiche e dimostrare, far arrivare in qualche modo il calore della solidarietà, l’attenzione a non voler lasciare solo nessuno. Ed è giusto che sia così.

In questo caso, per noi le parole scritte sono superflue perché, oltre a “metterci la firma”, venerdì saremo a Palermo, alla manifestazione cittadina indetta contro queste misure. Condividere questa piazza è per noi il modo migliore per dire a questi nostri compagni che ci siamo, solidali e complici.

Si parte dal Centro Sociale Liotru, via Montevergine 8, alle 13.00 di venerdì 20 marzo. Chiunque voglia aggiungersi o avere altre info può chiamare il 3276104927.

Siamo tutti NOTAV – Murales&Aperitivo

140 anni di carcere complessivi per i No Tav che hanno partecipato alle due giornate di lotta del 27 giugno e 3 luglio, in occasione della sgombero della Libera Repubblica della Maddalena. Ma la sentenza pronunciata nell’aula bunker di Torino ha per tutti i No Tav il sapore di una “vendetta di Stato”. Mentre il progetto della Torino-Lione continua ad essere investito da scandali che riguardano le ditte impegnate nella costruzione e neanche il governo stesso fa più tanto mistero del fatto che i soldi per quest’opera inutile mancano, in un’aula di tribunale quello che viene processato è un movimento tutto. Condanne sproporzionate che nulla hanno a che vedere con l’applicazione della “giustizia” vogliono criminalizzare e colpire ancora un volta un movimento popolare che da oltre vent’anni resiste e lotta, senza mai un passo indietro. Dopo questa dura sentenza il Movimento No Tav torna in piazza a Torino per una grande e partecipata manifestazione nazionale.
Non potremo essere tutt* lì fisicamente, ma vogliamo ugualmente vivere e condividere il più possibile questa grande giornata No Tav

“ (…) la libertà è una cosa seria e come tale va trattata. Perché tutti insieme siamo imbattibili, perché fermarci è veramente impossibile”.

Dalle ore 15:00 in poi:
Diretta telefonica con la manifestazione
Realizzazione di un murales No Tav al CSO Liotru!
a seguire Aperitivo NoTav!

5 anni di DASPO, ma per cosa?!

fumogeni
In settimana, Maurizio, 23 anni, si vede recapitare da una pattuglia una bella notizia: DASPO per 5 anni.

Ma che cos’è il Daspo? Il “Divieto di accedere a manifestazioni sportive” è regolato dalla Legge 13 dicembre 1989 n. 401, per contrastare il crescente fenomeno della violenza negli stadi di calcio. Si tratta di una misura amministrativa e non penale, emessa dalla Questura quando un soggetto viene ritenuto pericoloso limitatamente alle manifestazioni sportive.

Il divieto di accedere agli stadi può durare da uno a cinque anni e può essere disposto dal questore, la casistica è molto ampia e si estende anche a coloro che partecipano, incitano, incoraggiano manifestazioni di violenza. Il Daspo può essere comminato anche nei confronti di soggetti minori di anni 18, che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età (in tal caso, il divieto è notificato a coloro che esercitano la patria potestà).

Stesso provvedimento che negli ultimi tempi si è discusso in parlamento di modificare aggiungendo il “Daspo di gruppo” ed aumentando gli anni di pena e che si vorrebbe estendere a qualsiasi tipo di manifestazione, anche di piazza.

Quello che non tutti sanno e che i politicanti ed i sindacalisti in divisa di casa nostra fingono di ignorare, è che la “discrezionalità” del provvedimento (non occorre subire un processo per prendersi il Daspo, lo da il questore sulla base di un rapporto di polizia: in parole povere se vieni denunciato scatta automaticamente il Daspo) non richiede alcuna prova per l’emissione: non occorre nessuna foto, basta che un agente dichiari che in quel determinato frangente tu abbia commesso l’atto “x”, ed arrivano denuncia e Daspo! Ed hai voglia a spiegar loro che quel giorno tu eri in un altro punto della manifestazione o che addirittura ti trovavi al mare con la fidanzata: a loro non interessa, loro emettono il provvedimento, in caso lo spiegherai al giudice!

“Certo, però una volta che affronti il processo puoi dimostrare la tua innocenza e venir “reintegrato”, direte voi. Beata ingenuità. Sapete quanti ragazzi che vengono “daspati” arrivano poi ad affrontare il processo? Meno del 50%! Il grosso dei reati che vi verranno contestati cadranno tutti in prescrizione, e buona parte di quelli che al processo ci arrivano si vedono poi assolvere per non aver commesso il fatto(si parla di un altro 75%) , o perché il fatto non sussiste, o non costituisce reato (!!!). Il tutto ovviamente succede molti anni dopo che l’interessato o gli interessati abbiano comunque scontato il loro Daspo, col risultato di essere stati privati della loro libertà per un periodo della loro vita senza essere colpevoli.

“E vabbè, qualche limite alla libertà ma serve a contrastare la violenza”, qualcuno dirà ancora. Ebbene, torniamo a Maurizio, denunciato e daspato per 5 anni.“Chissà di quali atti criminosi è accusato”, ecco qua: accensione e lancio sul pavimento di un fumogeno all’ interno della stessa Curva Sud.

Non crediamo ci sia bisogno di spiegare meglio, è già tutto abbastanza chiaro. Siamo troppo stanchi di questa finta giustizia.

Non stiamo qui a chiedere di condividere o non condividere le ragioni e le passioni di un Movimento Ultras, ma ancora una volta a dire che la giustizia, in Italia passa solo dalla parola “repressione”.

Se un Daspo ci dev’essere sia dentro il Parlamento, a chi ci considera voti o erbaccia da estirpare.

Noi da fuori quei palazzi del potere, nelle piazze, nelle case, negli stadi continueremo a lottare e resistere!

No al Daspo ed alla Tessera del tifoso.      

Ultras liberi, Maurizio libero.

liberi

Restare Umani – ancora sulla morte di Francesco

Mercoledì mattina una notizia più di altre ci ha colpiti: l’uccisione di un ragazzo di
venti anni e il ferimento grave di un ragazzo di 15 anni a seguito di un tentativo di rapina in un distributore.
Le dinamiche sembrano essersi parzialmente chiarite, anche se ancora i video delle telecamere del benzinaio non sono di dominio pubblico.

La cronaca
Francesco, e tre altre persone, di cui due minorenni, tentano una rapina nella notte tra martedì e mercoledì in un distributore di benzina in tangenziale. A sentire i parenti dei ragazzi, Francesco è da mesi senza lavoro e la rapina serve proprio ad avere a disposizione del denaro per campare. La dinamica dell’accaduto sembra essere stata questa: con due pistole finte, tre dei quattro vanno alla cassa del distributore. Un poliziotto fuori servizio si trova proprio dentro al bar del distributore e interviene, arrestando uno dei tre ragazzi. Gli altri due scappano fuori e vengono intercettati dal collega del poliziotto presente all’interno. Lui spara: Francesco è colpito alle gambe e muore dissanguato, il ragazzo di 15 anni viene colpito alla testa.
Il ragazzo ferito è ricoverato in gravi condizioni all’ospedale, l’altro minorenne scappa e non è ancora stato trovato.

Le reazioni
Ci siamo ritrovati davanti a questo, e d’istinto abbiamo reagito, ci siamo sentiti in dovere di dire qualcosa, nonostante sapessimo che il quadro non fosse molto chiaro, nonostante alcuni dettagli non fossero ancora definiti. Nonostante sapevamo di poter risultare “impopolari”.
A diversi giorni di distanza, tolto l’impulso del momento, ritorniamo sull’argomento, perché ci teniamo a spiegarci meglio, ad esprimere meglio quello che pensiamo di questa situazione spinosa.
Partiamo affidandoci alle parole dei familiari (che potete tranquillamente accusare di essere di parte): questi ragazzi vengono da Librino, quartiere certamente non fra i più semplici della città, e avrebbero agito spinti dal bisogno, dall’assenza di lavoro, dalla necessità di avere qualcosa di cui vivere.
Ora, noi non conosciamo direttamente Librino. Lo conosciamo indirettamente tramite le esperienze di tante persone che lavorano in quel quartiere, per le sue strade, ogni giorno. Conosciamo però altri quartieri popolari della città, complessi alla stregua di Librino, come Picanello e Antico Corso, che stiamo imparando a conoscere.
Sono quartieri in cui può capitare che un ragazzino di 15 anni smetta di andare a scuola, per semplice retaggio culturale o proprio perché c’è bisogno che “produca”- lavori – porti “i soldi a casa”. Sono quartieri in cui spesso il lavoro manca (e non da ora perché c’è la crisi, anche da più tempo) e se c’è è spesso sottopagato. La retta via in certi quartieri spesso ti porta a sgobbare tutto il giorno per pochi euro, e questo non basta per vivere dignitosamente. In certe situazioni, una cosa che può accadere è che si fanno delle scelte di vita azzardate, “sbagliate”. Si entra nel giro di spaccio (è una cosa semplice, che possono fare anche i ragazzini) o magari ci si ritrova a rapinare un distributore di benzina, per fare degli esempi.
Questo è il famoso contesto a cui più e più volte ci riferiamo e ci siamo riferiti. È certo una forte generalizzazione, ma non possiamo ignorarlo perché è una realtà che esiste e che determina molte dinamiche di quartiere. Non sono luoghi di vita in cui si vive in maniera lineare; in certi luoghi i concetti di legittimo e illegittimo, giusto e sbagliato, legale e illegale di mescolano, non hanno confini, smetti di distinguerli. Nel bene o nel male.

Perché?

Entrando in contatto con tutto questo è naturale chiedersi “come è possibile?”. La prima cosa che ti aspetti, se sei ancora una persona che nutre ancora un minimo fiducia nello stato, è proprio un un suo intervento, attraverso sussidi, servizi sociali, scuola, aiuti, piani educativi e lavorativi.
Lo stato, come il Comune, in questi quartieri esiste, certo, ma in forme che i sopracitati fiduciosi nello stato forse non si aspettano: chiude le scuole nei quartieri a rischio per mancanza di fondi; chiude gli asili pubblici, lasciando spazio ai privati; non assegna le case popolari né tanto meno pensa a sfruttare i fondi esistenti per ristrutturarne o costruirne di nuove; multa il baracchino dove vendi della merce perché “non in regola”; taglia alla sanità, perché i buchi procurati dai dirigenti adesso sono più alti e devi portarti i medicinali da casa se vuoi essere curato all’ospedale. Queste sono le soluzioni dello stato. Lo stato di diritto.
E quando occupi una casa o non ti fai sfrattare da casa perché non hai pagato l’affitto, quando allacci “illegalmente” la luce perché non puoi pagare le bollette, quando magari vai in piazza Duomo a chiedere conto alle istituzioni dei diritti e della dignità che ti è negata… ricevi sfratti, polizia, sgomberi, denunce. 

Lo stato o è assente o è presente in questo modo.

Che fare?
Questi sono i luoghi che abbiamo imparato e che stiamo imparando ancora a conoscere, a capire.
Mettendo da parte tante convinzioni, tentando di esserci, di starci dentro, senza tanti complimenti, con tutte le contraddizioni e complicazioni del caso. Ben lontani dall’essere portatori di soluzioni, semplicemente facciamo quello che pensiamo sia giusto fare: trovare soluzioni comuni a problemi comuni. Senza delegarne la responsabilità a nessuno. Così nasce il doposcuola gratuito, così nasce lo sportello antisfratto, così nascono i momenti di aggregazione aperti a tutti. Il tutto dentro l’ennesimo posto abbandonato in città, e da noi occupato. Azione illegale (alla salute dei benpensanti) ma per noi legittima.

Tornando a Francesco
Queste nostre esperienze, anche se lontane dal quartiere di Librino, ci fanno comunque sentire molto vicina quella realtà. Siamo ancora una volta convinti del fatto che invocare più polizia o azioni di polizia più dure non sia la soluzione. Questo non significa plaudire ad ogni rapina fatta da “chi ha bisogno”. Però non significa nemmeno puntare il dito né, tanto meno, giustificare dei colpi di pistola, un morto e un ferito grave. Il punto è che con i fatti accaduti, ancora una vita si conferma la situazione in cui lo stato per certe persone è presente solo in alcune forme e non agisce sui contesti di cui sopra per evitare certe situazioni.
Guardare i contesti. Sempre.
Guardare i contesti quando si tratta dalla rapina al distributore; guardare i contesti quando si tratta della militarizzazione del centro storico. I contesti, dentro cui nasciamo, ci formiamo, viviamo e che contribuiamo a creare. Da quello bisogna partire. E su quello bisogna lavorare.
Francesco non è solo vittima dello stato perché ucciso da un poliziotto. Francesco è vittima dello stato come molti altri perché lo stato lo ha conosciuto nel suo quartiere solo nelle sue forme repressive, e mai per quello che dovrebbe essere: formatore, sostenitore, aiuto. Ecco perché Francesco, almeno per noi, è una vittima dello stato.

Un ultima cosa.
Dopo aver pubblicato le nostre prime considerazioni, alcuni hanno apprezzato, molti altri ci hanno criticato. Va benissimo ed eravamo consci che la nostra sarebbe stata una posizione impopolare.
Su una cosa però non possiamo rimanere impassibili: essere felici, quasi inneggiare per la morte di Francesco, sperare che il ragazzino oggi in prognosi riservata muoia anche lui (così è “uno in meno”) forse è troppo. Per tutti. Perché la vita umana, al di là dei soldi, al di là dell’illegalità, al di là dei contesti, vale più di tutto. La vita di Francesco valeva più di queste cose. La vita di un quindicenne vale più di queste cose. Possiamo tollerare tante cose, scritte e dette sul nostro conto oggi, ma non possiamo tollerare certi commenti soddisfatti per la morte di un ragazzo e la possibile morte di un ragazzino.

Più che schierarsi contro o a favore in questi casi, sarebbe bene solo ricordarsi di “Rimanere Umani”.

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