A giugno 2012, alle 4 del mattino, i ROS iniziavano l’ “Operazione Ardire” (ordinata da un PM di Perugia), entrando in una quarantina di case di alcune compagne e compagni anarchici e arrestandone circa 10. Tra questi Peppe, accusato di “partecipazione ad associazione terroristica con finalità eversive e istigazione a delinquere”. Secondo gli inquirenti, i comunicati e i documenti pubblicati da Peppe su Parole Armate erano troppo vicini alle reti anarchiche FAI (Federazione Anarchica Informale) e FRI (Fronte Rivoluzionario Internazionale), le stesse che, a loro dire, avevano a che fare con la gambizzazione di Adinolfi. Insomma, scrivere su un sito è sembrato sufficiente al PM per ordinare il sequestro del computer e di alcuni libri di Peppe, compreso il suo arresto in assenza di condanna definitiva. Da qui, la storia di Peppe è fatta di lunghe attese nel carcere di Alessandria prima e Ferrara dopo, sempre in alta sorveglianza: attese in cui si vede rifiutata più volte la richiesta di domiciliari; attese in cui gli rifiutano persino il trasferimento al carcere di Catania; attese in cui il suo arresto viene confermato dopo mesi, seppur in assenza di pena; attese fatte di trasferimenti da un carcere ad un altro, sempre troppo lontano da casa. “Si dice che lo stolto, invece di puntare gli occhi sulla luna, si soffermi a rimirare il dito che la indica. Eppure, senza voler giustificare lo stolto o reputarmi tale, credo sia difficile alzare lo sguardo al cielo quando questo non fa che coprirsi sempre più di sbarre. Dire ciò potrà sembrare scontato dato che la luna, da dove mi trovo adesso, posso solo immaginarla ma le sbarre di cui parlo non caratterizzano solo la prigione bensì sono parte integrante, sotto varie forme, dell’intero dominante che ammorba l’esistente.” Scrive così Peppe da Alessandria dopo tre mesi di carcere.
L’ultima volta che abbiamo visto Sghigno eravamo tutti stipati in un’aula del tribunale di Catania. Era Gennaio di quest’anno. Aveva in corso un processo per un attacchinaggio e una multa che non aveva intenzione di pagare. Eravamo tutte e tutti lì, stretti, quasi contenti di avere quell’occasione per vederlo ma, soprattutto, per fargli sentire la nostra presenza, la nostra solidarietà. Erano passati quasi otto mesi dal suo arresto e la distanza che ci separava la sentiva lui come noi. Anche in quell’occasione abbiamo potuto assaporare l’amaro sapore della repressione: ammanettato e circondato da sbirri in borghese, non è stato possibile stabilire che un brevissimo contatto visivo, mentre la Digos, in maniera del tutto non autorizzata, riprendeva i nostri volti e le nostre voci. Dopo mesi di libertà gli hanno voluto negare anche la possibilità di assaporare la solidarietà dei suoi compagni, finalmente presenti fisicamente, dopo mesi e mesi di lettere.
Con questa immagine impressa nella mente arriva qualche giorno fa la bella notizia della scarcerazione di Peppe: all’ennesima richiesta di proroga degli arresti finalmente una risposta negativa. DOPO UN ANNO IN CARCERE IN ATTESA DI GIUDIZIO, SGHIGNO E’ ORA LIBERO!
Notizia questa che ci fa gioire ma non deve farci dimenticare chi, tra tante compagne e compagni, è ancora dentro, ingiustamente: tra gli ultimi Jimmy, arrestato qualche settimana fa dopo un anno di latitanza. Non dimenticarci di loro significa ricordarsi che la Solidarietà, quando messa bene in atto, è un arma contro ogni forma di repressione.
“Siamo tutte e tutti carcerati, poiché una società che ha bisogno del carcere, di rinchiudere ed escludere, è essa stessa carcere. Ma non sarà mai incarcerabile la gioia del sogno della libertà dai padroni e dalle loro galere, la gioia di una solidarietà in lotta” [Marco Camenisch]