Una giornata piena quella di oggi a Niscemi, che fin dalla mattina ha visto una Piazza Emanuele III piena di bandiere no MUOS e non solo. Tanti infatti gli interventi e tanta la voglia di mettersi in gioco dopo la sentenza del TAR. Dopo l’appuntamento in piazza, velocemente ci si sposta al presidio no MUOS in Contrada Ulmo, luogo del concentramento del corteo. Poco dopo le 15.30, il corteo parte e si avvia verso la base della marina militare. In centinaia si sfila, in un pomeriggio che sembra essere pieno di divieti: quello della questura, che ha deciso che il corteo non può avvicinarsi a meno di 150 metri dal cancello principale della base; quello del meteo, che sembra non essere molto a favore. Eppure, nonostante ciò, il corteo continua e determinato si avvicina alla base. Prima di arrivare al cancello principale, due bambocci raffiguranti Obama e Renzi vengono bruciati, simboli entrambi di un nemico che rende le persone presenti unite nel gridare “No al MUOS, no alla guerra!”.
Con una base blindata e difesa da molte forze di polizia italiana all’interno, il corteo arriva fin davanti l’ingresso principale. Qui, mentre un gruppo di mamme no MUOS riempie il grigio e triste cancello uno con moltissime mimose colorate, un altro gruppo di donne no MUOS non distanti taglia simbolicamente la rete della base, nonostante l’intervento della polizia presente all’interno della stessa.
La giornata di oggi è stata una giornata piena: contro la pioggia e contro i divieti, il corteo in Contrada Ulmo ha prima di tutto risposto ad un’esigenza, quella di coniugare la lotta contro il MUOS e quella che molte donne, ogni giorno, intraprendono nella loro vita. Non è un giorno o un corteo che cambiano le sorti della nostra terra, così come non basta un solo giorno – come l’otto marzo – o un solo corteo per riscattare la figura femminile. Non viviamo in questa illusione e non vogliamo lanciare questo messaggio. Siamo molto soddisfatte della giornata di oggi, ma non può bastarci.
Quando abbiamo accostato l’immagine delle compagne dello YPJ e quella delle mamme No MUOS, lo abbiamo fatto perché ci sono delle cose che caratterizzano entrambe le esperienze di resistenza: la volontà di liberazione, la passione e la dura costanza, legate tutte da un grande amore per la libertà. Questo otto marzo ci è servito proprio per ricordare, prima a noi e poi ad altri, che passione, costanza e volontà sono elementi imprescindibili per ogni tipo di lotta, sia essa per la smilitarizzazione del territorio, sia essa per l’autodeterminazione di ogni popolo e ogni donna.
Torniamo a casa infreddolite dalla pioggia ma contente, perché se è vero che non basta un giorno o un solo corteo per risollevare le sorti di tutte e tutti, è anche vero che oggi a Niscemi c’era tanta passione e soprattutto tanto amore per quella libertà ancora tutta da conquistare.
Ultimamente due eventi hanno colpito la nostra attenzione, così come quella di molti certamente.
Da un lato, la riconquista di Kobane, dopo più di 100 giorni d’assedio da parte delle milizie dell’ISIS. Questo è per noi un evento più che significativo sotto molti profili. Certamente, la riconquista di Kobane rappresenta la vittoria contro il fascismo mal celato dello Stato Islamico. Vittoria raggiunta grazie allo YPG e lo YPJ, gruppi armati popolari che hanno imbracciato il fucile per difendere la propria terra dall’invasione, grazie anche al sostegno costante dei solidali sparsi in tutta la Rojava e oltre. In quanto donne però per noi Kobane è soprattutto riscatto e resistenza femminile. Le compagne dello YPJ sono un esempio di come l’autodeterminazione sia un valore fondamentale e una pratica di lotta quotidiana per ogni donna. Nel loro caso, hanno lasciato famiglia, affetti, ruoli secolari cristallizzati di “donna-angelo-del-focolaio”, hanno imparato a sparare, si sono organizzate e hanno difeso, attaccato e riconquistato Kobane. Tutto in nome della libertà certamente del popolo curdo ma anche, e soprattutto, di tutte le donne.
Dall’altro la sentenza del TAR di Palermo che conferma ciò che da anni diciamo sul MUOS e sulla base della US Navy: quella base è abusiva, quelle antennone non possono stare lì. Sentenza questa che riapre un fronte non indifferente per la lotta No MUOS, non in termini di ricorsi e contro-ricorsi, ma in termini di mobilitazione e pressione popolare. E noi che a Niscemi ci abbiamo passato un po’ di tempo, abbiamo vivide in mente le immagini di decine e decine di donne che, ogni mattina, presidiavano la base bloccandone i flussi dei mezzi in entrata a in uscita. Gran parte di loro sono mamme normali che, in un contesto particolare come quello niscemese, hanno deciso di essere corpo unico. Forti di questa collettività così semplice da definire, quasi automatica e naturale, hanno avuto per mesi il coraggio di presidiare una base statunitense, strattonate dalla polizia quasi ogni giorno, contro critiche e male lingue, sostenute anche da elogi e meraviglia generali.
Questi due eventi sono dunque caratterizzati da un elemento comune che, seppur diverso, fa parte “dello stesso cielo”: la resistenza e l’autodeterminazione femminile. Che si tratti di resistenza armata o meno, entrambe le due esperienze di lotta hanno rimesso in discussione un ruolo passivo della donna nella società e l’hanno resa protagonista nel determinare non solo la propria esistenza, ma le sorti della propria terra, minacciata da un nemico esterno. Sono entrambi esempi, seppur differenti, di resistenza e lotta quotidiana e constante, nei luoghi giornalieri della propria vita; resistenza e lotta che coinvolgono rapporti personali, ruoli sociali, immaginario ed estetica femminile.
Proprio avendo in mente queste immagini di resistenza quotidiana, parteciperemo alla giornata di mobilitazione a Niscemi e in Contrada Ulmo questo otto marzo. Non siamo molto avvezze alle celebrazioni, né tanto meno crediamo che solo attraverso la giornata dell’otto marzo si possa risolvere la questione. Proprio perché rigettiamo la logica della celebrazione, partecipiamo a questo otto marzo No MUOS rifacendoci alle storie delle compagne dello YPJ e delle donne No MUOS, storie di vita e lotta quotidiane. Per quanto ci riguarda l’otto marzo è un’occasione come un’altra per lanciare un messaggio molto semplice: non c’è cambiamento radicale possibile che non passi dall’autodeterminazione della donna, che parta da essa stessa e la renda protagonista unica della conquista della propria libertà. Se c’è una cosa che sappiamo con certezza è che la libertà non si riceve in regalo. E in quanto donne non vogliamo essere emancipate, ma libere.
Contro la militarizzazione del territorio, da donne libere per una terra smilitarizzata e senza guerra.
Le compagne del Collettivo Aleph.
Per partecipare alla manifestazione, è possibile partire con un pullman da Catania l’otto marzo, alle 9.30, da Piazza Alcalà.
BIGLIETTO 5€
DOVE TROVARLI:
al Centro Sociale Liotru, via Montevergine, 8
▸il martedì e giovedì dalle 15:30 alle 17:00
▸il mercoledì dalle 17:00 alle 20:00
▸il sabato durante “What’s in the box?” https://www.facebook.com/events/672616039530978/?fref=ts
alla Palestra Popolare Catania
▸il martedì e giovedì 19:00-22:00
▸il mercoledì e venerdì 20:00-21:30
“Una mobilitazione riuscita quella di oggi, 21 Febbraio, a Torino: 15.000 persone in piazza, presente il popolo No Tav delle grandi occasioni, assieme a migliaia di solidali arrivati da tutta Italia (e anche oltre).”
“E’ questo è stato, una manifestazione grande, veramente grande, che sotto una pioggia battente ha mostrato le facce di chi lotta, le fasce dei sindaci, le bandiere di tanti, il trenino con i bambini e gli anziani, i cartelli con i costi del tav, gli striscioni di solidarietà, la geografia resistente delle lotte per il territorio.”
E’ molto bello leggere i toni entusiastici del movimento, vedere le foto di una Piazza Castello stracolma di gente, leggere che in 15.000 i no tav hanno attraversato Torino, smontando del tutto le iniziali ripercussioni di alcuni sulla scelta della città al posto dell’abituale Valle. Tutto ciò è molto positivo e fa un gran piacere. Ma sarebbe stato molto meglio vederlo coi proprio occhi piuttosto che leggerlo; sarebbe stato molto meglio sentire il calore del popolo no tav in una uggiosa giornata di pioggia piuttosto che leggere stralci di interventi a fine corteo. Sarebbe stato quindi bello esserci ma, se sei un no tav e ieri partivi da Milano questa possibilità ti è stata automaticamente preclusa.
Cosa è successo.
Dalle 8.00 del mattino la stazione centrale di Milano inizia ad essere presidiata dalle forze dell’ordine, a controllare non si sa bene cosa. Qualche ora dopo, un gruppo di no tav (diciamo una settantina, arrotondando per difetto) arriva in stazione e, con un biglietto collettivo, sale sul treno che doveva partire alle 11.18 alla volta di Torino. Iniziano i controlli a tappeto sul treno, arriva l’antisommossa che si schiera all’inizio del binario e davanti ai vagoni pieni di no tav, mentre un gruppo folto di digossini inizia a parlare con gli attivisti. Bisogna pagare tutti i biglietti, anche i pochi non coperti dal biglietto collettivo. Inizialmente gli attivisti si rifiutano “piuttosto occupiamo i vagoni”; la risposta è chiara e arriva dalle forze dell’ordine, che comunicano al capo treno e ai controllori “la situazione è semplice: o si regolarizzano o il treno non parte”. Infatti, il treno delle 11.18, certamente pieno di no tav, ma anche di altri passeggeri, non parte. Inizia una lunga trattativa che, non soltanto blocca la partenza di un altro treno (quello delle 12.18) ma si conclude con il pagamento da parte degli attivisti dei biglietti scoperti e di una multa. Insomma, nel giro di un’ora e mezza sono stati pagati più di 500 euro tra biglietti e multe. Intanto, i passeggeri “normali” hanno cambiato tre treni, tutti e tre rimasti fermi, salendo ad uno ad uno, dall’unica porta aperta del treno, con uno o due controllori che chiedevano il biglietto.
Agghiacciante.
Poco prima delle 14.00, pagato il salato conto, e dopo tre treni non partiti, due treni pieni partono da Milano direzione Torino.
Alla stazione di Rho il treno si ferma come di consueto ma non riparte pochi minuti dopo. Il capotreno comunica “problemi di ordine pubblico” dovuti da “manifestanti” che, a quanto pare, anche a Rho volevano salire senza biglietto. Peccato che fuori non c’è nessuno se non, ancora, antisommossa e digos. Dopo mezz’ora ripartiamo, con in testa l’idea, sempre più chiara, che questo treno non lo guida più un macchinista, che il capotreno non parla più per bocca sua.
Il treno dunque riprende il viaggio, iniziamo a chiamarlo “treno speciale”: partito a luci spente (solo poi accese) non annunciato in nessuna stazione, totalmente fuori orario, con poche porte utilizzabili. Arriviamo alla stazione di Novara. Anche qui, ci fermiamo ma non ripartiamo. Arrivano poco dopo gli altri due treni da Milano che, nella mattina, erano saltati. Arrivano e si fermano, anche loro. Tutti scendono dal treno e, ancora una volta, veniamo accolti in stazione da antisommossa e digos. Passano i minuti e non si muove nulla, non si capisce il motivo del blocco che ormai non coinvolge solo i treni Milano-Torino ma che diventa di tutti i binari dei treni. Quando lo speaker della stazione annuncia che i treni da e per Milano avrebbero subito tutti dei ritardi imprecisati a causa di “manifestanti notav” allora tutto diventa molto più chiaro e palese: non dobbiamo arrivare a Torino, assolutamente. Non importa se la stazione è anche piena di gente pendolare, lavoratori, famiglie. A Torino non si arriva. Il gruppo di no tav torna dunque a fronteggiarsi con la polizia, blocca per pochi minuti i binari della stazione gridando “Il corteo lo faccio qui!”.
La conferma dello squallido gioco delle forze dell’ordine arriva, quasi sottovoce, da uno di FS quando ammette che non decidono loro, che non hanno idea di quando si sbloccherà la situazione, che dipende dal Prefetto. Se per lui va bene, si parte, altrimenti si sta lì.
In stazione si crea un gran caos: da un lato i no tav che giustamente denunciano un blocco ingiustificato dei treni; tutto intorno gli altri passeggeri che tentano di capire, chiedono, si arrabbiano, sbuffano. Dopo le 16.00 lo speaker annuncia la partenza del treno verso Torino “dal binario 3”. Si sale tutti insieme, stretti stretti, sull’ennesimo “treno speciale” della giornata.
Dopo poco più di un’ora si arriva a Porta Susa ma, se sei no tav, non scendi lì: la polizia, sempre in antisommossa, è lì pronta ad accogliere il gruppo milanese. Si tira dritto a Porta Nuova dove, essendosi conclusa la manifestazione, un gruppo di compagni presenti al corteo ha raggiunto la stazione per accogliere “i milanesi”. Si riesce ad uscire dalla stazione e, in una Torino bagnata e militarizzata, si parte in corteo spontaneo prima verso piazza Castello, poi verso la Cavallerizza Occupata.
Tensione, a tutti i costi.
Quello che è successo ieri tra Milano e Torino è molto grave, sotto molto profili, e deve aver colpito qualsiasi persona di buon senso.
Infatti, da un lato il profilo repressivo, privo di fine, messo in atto dalle forze dell’ordine e le questure. Trenitalia nelle mani della polizia che una volta deciso, in maniera assolutamente arbitraria, che “a Torino oggi non si arriva”, si prende il potere di bloccare fino a tre treni e tantissime persone a bordo, dalle più diverse. Repressione a carico dei no tav che, in forme sempre nuove, si manifesta sotto forma di abuso di potere.
Dall’altro, gli eventi successi ieri tra Milano e Torino hanno permesso ai soliti servi dello stato di tirare fuori il manuale “Come ti costruisco il nemico ordine pubblico no tav”. Infatti, in un contesto di totale incertezza, in cui le informazioni che circolano vengono da un auto parlante che sbandiera “ problemi di ordine pubblico a causa di manifestanti no tav”, parlando per bocca della questura, è molto semplice che la percezione delle persone possa essere facilmente condizionabile. Fin dalla stazione di Milano, l’intento delle forze dell’ordine, agendo tramite gli impiegati FS, è stato quello di dividere passeggeri “normali” e attivisti. Gli impiegati FS passavano per i vagoni invitando la gente a spostarsi alla chetichella in altri binari, dentro altri treni, tenuti a luci spente, con tutte le porte bloccate tranne una o due, presidiata come se non ci fosse un domani. Tra le tante idiozie sentite pure “chiuda il finestrino che questi ci saltano dentro!”. A Novara però si tocca il fondo. Il palese blocco dei treni derivato dalla decisione di questori e questorini, ovviamente si cerca di presentarlo come “il blocco dei no tav” che, se è vero che hanno bloccato i binari per pochi minuti, è anche vero che capito il gioco delle forze dell’ordine, sono risaliti sui treni. Nonostante ciò, funzionari FS e digos continuavano a dare la responsabilità dei treni fermi al blocco dei binari da parte dei no tav. Solo una sapiente comunicazione da parte degli attivisti e di molti solidali tra gli altri passeggeri ha permesso di fare chiarezza, nello sgomento generale della gente. Tante persone inizialmente stizzite dalla presenza dei manifestanti (“i soliti violenti, che manifestano in maniera sbagliata, non pacifica, bloccando tutti insensatamente”), diventano solidali ai no tav che “non possono mica fare blocchi invisibili dei binari! Non ci sono, fate partire questo treno e smettetela!”.
Ed è proprio questo dato che possiamo portarci a casa, dopo la fredda giornata di ieri passata in tante stazioni del treno. Hanno provato a mettere i passeggeri dei tre treni contro il gruppo di no tav. Ma non ce l’hanno fatta perché non solo le ragioni del movimento sono troppo più forti (“ma fateli arrivare a Torino! Che tanto l’opera è veramente inutile, che male c’è a dirlo?!”), ma il tentato giochino di spacciare una mossa della polizia come un’azione diretta di blocco no tav era palesemente una bufala.
Ce ne sarebbero ancora da raccontare di episodi avvenuti in più di quattro ore di viaggio (al posto di un’ora e mezza): sui alcuni funzionari FS che sembravano più sbirri che altro (e forse lo erano davvero, perché no), del ruolo di Trenitalia all’interno di questa infinita scacchiera, degli atteggiamenti di digos e polizia, perennemente equipaggiata di casco, scudo e manganello, del fatto che arrivati a Torino, la stazione di Porta Susa era quasi del tutto chiusa e a Porta Nuova la polizia si sprecava.
Ce ne sarebbero ancora tante da dire.
È meglio chiudere il racconto di questa giornata di ordinaria repressione con l’immagine dei tanti solidali durante il viaggio e dei due gruppi di compagni che si riuniscono in stazione e partono in corteo. Perché i no tav sono ovunque e si supportano sempre a vicenda, in quanto “si parte e si torna insieme”.
140 anni di carcere complessivi per i No Tav che hanno partecipato alle due giornate di lotta del 27 giugno e 3 luglio, in occasione della sgombero della Libera Repubblica della Maddalena. Ma la sentenza pronunciata nell’aula bunker di Torino ha per tutti i No Tav il sapore di una “vendetta di Stato”. Mentre il progetto della Torino-Lione continua ad essere investito da scandali che riguardano le ditte impegnate nella costruzione e neanche il governo stesso fa più tanto mistero del fatto che i soldi per quest’opera inutile mancano, in un’aula di tribunale quello che viene processato è un movimento tutto. Condanne sproporzionate che nulla hanno a che vedere con l’applicazione della “giustizia” vogliono criminalizzare e colpire ancora un volta un movimento popolare che da oltre vent’anni resiste e lotta, senza mai un passo indietro. Dopo questa dura sentenza il Movimento No Tav torna in piazza a Torino per una grande e partecipata manifestazione nazionale.
Non potremo essere tutt* lì fisicamente, ma vogliamo ugualmente vivere e condividere il più possibile questa grande giornata No Tav
“ (…) la libertà è una cosa seria e come tale va trattata. Perché tutti insieme siamo imbattibili, perché fermarci è veramente impossibile”.
Dalle ore 15:00 in poi: Diretta telefonica con la manifestazione Realizzazione di un murales No Tav al CSO Liotru! a seguire Aperitivo NoTav!