Da tempo ormai abbiamo familiarizzato con la “delocalizzazione” di aziende italiane: imprenditori di varie aziende decidono sempre più spesso di spostare la produzione dei propri prodotti in paesi dove i costi di produzione (manodopera, pressione fiscale, ecc.) sono più bassi e permettono un guadagno maggiore.
La Fiat è una di quelle imprese che spesso utilizza questo termine. Marchionne non fa altro che minacciare da più di un anno uno spostamento repentino delle fabbriche in Serbia se non gli fosse stato permesso di fare ciò che voleva (ignorare il contratto collettivo nazionale; non reintegrare, dopo la cassa integrazione, gli operai tesserati FIOM). In realtà, come è tristemente prevedibile, la Fiat non è l’unica impresa che intende esplorare nuovi territori.
Da circa due anni si è aggiunta l’azienda Golden Lady (altrimenti conosciuta come Omsa), anch’essa intenzionata a trasferirsi in Serbia. Il primo stabilimento a chiudere è quello di Faenza, con circa 240 operaie impiegate, alcune da molti, molti anni. A circa due anni dall’inizio della cassa integrazione per quasi tutte le operaie (esclusi 30 dipendenti), la Golden Lady ha già provveduto di fatto ad aprire uno stabilimento in Serbia, con 1900 operai che guadagnano circa 300 euro e lavorano a condizioni assurde. Dunque, mentre le operaie di Faenza erano in cassa integrazione a spese dello stato, in Serbia venivano assunti dalla nuova fabbrica Golden Point progressivamente 1900 operai, senza garanzie sindacali.
I motivi che hanno spinto Nerino Grassi (presidente dell’azienda) a prendere questa decisione sono, a detta sua, le poche vendite causate dalla lycra, materiale delle calze: essendo un tessuto resistente, le donne comprano meno: vien da ridere se, a fronte di queste dichiarazioni, pensiamo al fatto che la Golden Lady produce tra Italia, Serbia e USA 400 milioni di calze che distribuisce neigli 800 punti vendita singoli dislocati in 70 paesi diversi.
Ad ogni modo, il 27 dicembre 2011 Nerino Grassi ha comunicato, via fax, alle operaie (che tanto hanno dato alla sua impresa) che il 13 marzo 2012 sarebbe scaduto il periodo di cassa integrazione e che la Golden Lady di Faenza avrebbe definitivamente chiuso i battenti.
Checché ne dicano Marchionne e Grassi, la crisi economica (tantomeno la lycra) non è il vero motivo che li spinge a delocalizzare. La realtà è che le aziende che decidono di investire in Serbia si ritroveranno tanti “aiuti” utili e ben accetti: nessun problema sindacale di grande importanza; incentivi fiscali che raggiungono cifre spaventose; la sospensione del pagamento di qualsiasi tassa sui terreni utilizzati per i primi dieci anni; nessuna restrizione atta a garantire la salvaguardia dell’ambiente; ecc.
In realtà, la Omsa chiude perchè è intenzionata a fare più soldi e, dopo aver usufruito di incentivi e contributi statali, cioè dei nostri soldi, semplicemente, “delocalizza” la sua produzione perché in Serbia può pagare le operaie 300 euro al mese invece che 900.
Le 240 operaie cacciate dall’oggi al domani, le 1900 assunte senza garanzie sindacali e sfruttate disumanamente non sono numeri di un bilancio d’azienda, ma donne, uomini, vite e storie. Chi compie questa operazione è un criminale, perché tende solo ad aumentare i margini di guadagno degli azionisti, senza nessun rispetto dei territori e dei tessuti sociali che lo compongono: non appena un altro territorio sarà disponibile a farsi sfruttare senza ritegno, andranno tutti via nuovamente, accecati da denaro e potere. Lottare per questi principi non vuol dire lottare contro il lavoro di quelle 1900 persone, ma per i diritti di tutti i lavoratori, di qualunque territorio, perché quello che sta succedendo a Faenza è successo e succederà altrove.
Dopo gli operai di Pomigliano, Mirafiori e Termini Imerese è arrivato il momento di sostenere le operaie di Faenza.
Da mesi, infatti, hanno lanciato una campagna di boicottaggio dei prodotti
- Omsa
- Serenella
- Golden Lady
- Sisi
- Hue Donna
- Hue Uomo
- Saltallegro
Un appello questo che parte da donne verso delle donne, una richiesta di solidarietà e di aiuto che, grazie ad internet, sta avendo grande diffusione e impatto.
La recente decisione presa dalla Regione Emilia Romagna e dai sindacati di prorogare la cassa integrazione in deroga delle operaie oltre il 13 marzo non soddisfa nessuno, se non la coscenza di chi sa di agire in malafede.
Contro precarietà e licenziamenti, le scelte di produzione non possono passare sopra le vite di nessun lavoratore!