Tutti gli articoli di Aleph

“Ma come ti viene in mente di andare in Val Susa?!”

Ognuno ha le proprie curiosità, i propri personaggi a cui portar rispetto e le proprie squadre del cuore da tifare. Capita che a vent’anni ti accolli qualcosa di molto simile ad un “viaggio della speranza”, cambiando due o tre mezzi, per andare a vedere l’unico concerto in Italia di una band che ami. È anche possibile che, a vent’anni, spendi tutti i tuoi risparmi per comprare un abbonamento allo stadio e per nulla al mondo ti perderesti una partita.
Può anche capitare che, a vent’anni, in una città come Catania, non perderesti per nulla al mondo un corteo o un’assemblea in piazza e ti accolli qualcosa di molto simile ad un “viaggio della speranza” per arrivare in Val Susa e partecipare ad un campeggio che molti etichettano come “abusivo”. Spesso parlare di autogestione e aggregazione dal basso a Catania è difficile e qualche volta qualcuno mi ha detto che “Catania è una delle città più difficili in cui far politica: dobbiamo dirci bravi solo per il fatto di volerci provare”. Nasci e cresci politicamente in un terreno che apparentemente è poco fertile, ogni piccola vittoria diventa una grande conquista e sperimenti sulla tua pelle il valore di compagne e compagni fidati, con cui condividi gran parte dei tuoi pensieri e gran parte del tuo tempo. Tante cose possono abbatterti, tante volte pensi “ma chi me lo ha fatto fare?!” e ti sfiora il pensiero di mollare e arrenderti. Poi però arriva una parola detta nel modo giusto e al momento giusto, un articolo che racconta di come quelli che sono anche i tuoi metodi, in qualche altra parte del mondo, hanno funzionato e quindi ricominci, come se nulla fosse, sulla strada comune che stai costruendo insieme ad altri.
Se decidi, quindi, di partire da Catania con una tenda e andare in Valle è per tutte quelle volte che hai gioito a vedere un serpentone umano camminare per i sentieri di montagna, le reti tagliate, e a sentire la determinazione di gente di tutte le età nell’urlare “NO TAV!”; è per tutte quelle volte che ti sei incazzato nel vedere una valle militarizzata, la repressione ingiustificata di chi non vuol sentir ragioni e sentire un peso allo stomaco per chi è finito in carcere o in ospedale. È per questo che, a vent’anni, può capitare che una valle che resiste come la Val Susa prende la stessa attrattiva di un mega concerto o di una squadra di calcio e un campeggio non è solo luogo in cui stare e partecipare a delle attività ma diventa anche luogo di incontro, scambio di esperienze, crescita politica e umana. Non ci basta più condividere con la Valle le stesse idee, la stessa rabbia e la stessa bandiera “NoTav”: vogliamo toccare gli alberi e camminare su per i sentieri, vogliamo guardare negli occhi chi lì c’è sempre stato e continua a resistere e a lottare, vogliamo vedere la bellezza che qualcuno vorrebbe distruggere e tornare a casa più convinti di prima che, certamente, siamo noi quelli ad aver ragione.

A sarà dura!

Chi ama lo sport, odia il razzismo.

Dal 24 al 27 luglio, in piazza Carlo Alberto, si è tenuta l’edizione 2012 del Torneo di Calcio a 5 Antirazzista organizzato da: Arci, Cpo Experia,Gapa, Rete Antirazzista Catanese, Collettivo Aleph.

Anche quest’anno lo sport è divenuto uno strumento di reciproco riconoscimento, di cultura della resistenza, di rispetto della dignità delle persone. Gli incontri di calcio si sono alternati a momenti di solidarietà e di sensibilizzazione verso la condizione dei migranti e delle politiche repressive che governi di centrodestra e centrosinistra portano avanti da anni nei loro confronti, incentivando misure di sfruttamento estremo imposte da padroni senza scrupoli, con la scusa della crisi. Il Cara di Mineo è il vergognoso esempio delle politiche segregazioniste e clientelari messe in atto per giustificare il megabusiness della pseudo-accoglienza.
Poche settimane fa abbiamo assistito ai vergognosi scandali del calcio scommesse e agli scontri ai grandi magazzini “Il Gigante” di Basiano, dove lavoratori – soprattutto pakistani ed egiziani – hanno reagito con determinazione allo scippo dei loro diritti, divenendo così vittime di una repressione violentissima degna della peggiore dittatura (due immigrati con le gambe spezzate e quindici feriti). Per non parlare dello sgombero del Palazzo Bernini, tema trattato abbondantemente.

Per questo vogliamo diffondere con fermezza la cultura di uno sport autorganizzato, popolare, antifascista e antirazzista. Questo torneo rappresenta per noi un simbolo di sostegno a tutti quei migranti che non sono più disponibili a sottostare alle barbare dinamiche dello sfruttamento e del      caporalato.
La forza dello sport, della solidarietà e della difesa della dignità dell’essere umano, sono anche i valori che Mahmoud Sarsak, calciatore venticinquenne della nazionale palestinese, prigioniero nelle carceri israeliane da ben tre anni senza alcuna motivazione reale, a parte quella di essere orgogliosamente palestinese, ha voluto affermare con uno sciopero della fame durato 92 giorni, insieme a centinaia di altri detenuti palestinesi.
Per questo eleggiamo il coraggioso giocatore a simbolo dell’iniziativa e scegliamo di devolvere l’intero ricavato del torneo al centro di aggregazione e recupero giovanile IBDA del campo profughi di  Betlemme.

Sono stati costituiti tre gironi: maschile, femminile e under 14.
Ogni giornata di campionato è stata accompagnata da birra, frutta fresca e musica.
Il torneo si è, infine, chiuso con una festa popolare con premiazione, proiezione di video, dibattiti, cena, performance teatrali a cura del laboratorio teatrale interculturale  dell’Arci e diggieiset.

La risposta del Comune alla questione abitativa? Un muro di mattoni e di menzogne.

Dopo quasi una settimana di lavori, nella tarda mattinata di oggi è stato murato il portone al civico 7 di via G. L. Bernini, ultima porta rimasta aperta delle quattro palazzine che compongono l’ormai tristemente noto Palazzo Bernini.

Congratulazioni a chi, negli scorsi due mesi, ha chiesto insistentemente lo sgombero del palazzo. Prima di chiudere la questione e lasciare brindare chi di dovere però, vorremmo precisare alcune cose, giusto perché non siamo noi ad avere qualcosa da nascondere, e la chiarezza ci appartiene, evidentemente.

“Complimenti” al Comune e al Presidio Leggero

Nei giorni prima dello sgombero facce mai viste nei mesi precedenti (a parte alcune) hanno iniziato a frequentare il palazzo per qualche minuto ogni giorno, spargendo la voce fra gli abitanti dell’imminente sfratto, consigliando loro di spostarsi quanto prima, magari di cercare una casa in affitto (come se non fossero capaci di trovarsela da soli una casa in affitto potendo permettersela). Purtroppo, però, nessuna di quelle famiglie presenti al palazzo ha la possibilità economica di pagare centinaia di euro ogni mese per un paio di stanze. Dunque, la ditta chiamata dal Comune e il geometra del Comune si sono ritrovati, martedì 17 luglio, quattro palazzine interamente abitate. Bel problema se vuoi svuotare un palazzo (perché hai alle calcagna la medio–alta borghesia della città che si lamenta e chiede un intervento immediato) e non sai dove mettere 150 persone!

Il destino degli abitanti di Palazzo Bernini

Per placare gli animi di chi si è messo a chiedere spiegazioni, allora è uscita fuori la storiella del denaro da dare ad ogni nucleo familiare (all’inizio 1.000 euro a famiglia!) per pagar loro il rientro in Romania, Bulgaria o qualsiasi altro sia il luogo d’origine, e permettergli di affrontare i primi tempi. Nei giorni successivi però, i 1.000 euro sono diventati 100 euro a persona, poi 100 euro a nucleo familiare, poi solo  costi per il biglietto del pullman. Data la poca convenienza della vergognosa proposta al ribasso, solo 27 persone su 150 hanno accettato la proposta di tornare a casa, 27 persone tutte Rumene. Intanto, dato l’evolversi della situazione, qualche rumeno della seconda e terza palazzina si è spostato autonomamente dal palazzo per sistemarsi non si sa bene dove. Il resto degli abitanti di queste due palazzine ha spostato  le proprie cose sul porticato per protesta (sotto uno striscione con scritto “grazie sindaco da oggi dormiamo fuori”). Tutta la quarta e gran parte della prima palazzina si sono svuotate: erano abitate da famiglie bulgare che sono tornate in Corso dei Martiri. Due nuclei familiari della prima palazzina rimangono tuttora al palazzo, come hanno fatto le famiglie rumene. Formalmente questi spostamenti non vengono rilevati e viene dichiarato che tutti sarebbero rientrati nei rispettivi paesi di provenienza.

Dati falsi e menzogne

Le menzogne però non sono finite. Infatti è falso il dato per cui il rimpatrio (perché lo consideriamo un rimpatrio coatto a tutti gli effetti, se non puoi rientrare per un anno in territorio Italiano) sarebbe stato accettato da tutti. Ma anche per quelli che veramente vorrebbero tornarsene a casa, stanchi dell’Italia, non sono tutte rose e fiori. Ad oggi, infatti, non ci sono i soldi per pagare tutti i 27 biglietti e dunque solo 6 persone su 27 sono partite questo pomeriggio.

Le responsabilità hanno nomi e cognomi

Si sperava che il Comune avesse rinunciato almeno per oggi, visti gli impedimenti per le partenze previste, a sigillare l’ultimo accesso al palazzo. Purtroppo però, in tarda mattinata, scatta l’ordine di murare, proprio mentre inizia un forte acquazzone: non solo gli ultimi abitanti del palazzo da oggi sono senza casa, ma hanno anche tutti gli effetti personali zuppi di acqua e pertanto dovranno dormire su materassi umidi, compreso Mario, di quattro anni. Se non la logica, nemmeno la disumana condizione di queste persone hanno fermato le decisioni di chi da ordini per telefono, al sicuro, dalle sue stanzette di palazzo.

Abitato da circa 150 persone fino alla settimana scorsa, animato dai giochi e dalle risa dei bambini che scorrazzavano sotto al portico, rallegrato dalla musica suonata e ballata in allegria, addolcito dai sorrisi di chi, nonostante tutto, trova ancora il coraggio di vedere il bicchiere mezzo pieno, il Palazzo Bernini oggi si presenta come un gigante di cemento senza senso, incomprensibilmente vuoto e pieno, allo stesso tempo, dei nuovi “senza tetto” che il Comune ha generato in una settimana di intervento.

E adesso festeggiate.

Adesso potete brindare tutti, consiglieri e abitanti della “Catania bene” e non. Felici e soddisfatti: pericolo eliminato, nemico abbattuto. Che nessuno però si stupisca se usiamo parole come “ghettizzazione” e “razzismo”: perché se c’è una cosa che abbiamo imparato da questa vicenda è che Catania non accoglie nessuno, se non per interesse personale, e che l’epoca degli inspiegabili razzismi non è affatto finita. Quando vorrete spegnere il televisore, aprire la porta e uscire di casa, fatevi pure una passeggiata sotto i portici del Palazzo Bernini “liberato dagli invasori” e guardate i giochini lasciati da Narcisa, Sefora e Andrei, le scarpe di Nadia, Nicoleta o Gabriela: guardate i segni lasciati da chi sperava nella parola “domani” e che voi avete cacciato, sentitevi pure in colpa e con la coscienza sporca.

Noi forse non ci saremo, forse saremo stati buttati fuori per colpa delle vostre menti bigotte, ancora una volta, da un palazzo disabitato. Però sorrideremo ancora, e continueremo a dire che la casa è un diritto e che gli esseri umani sono tutti uguali e che hanno tutti diritto di avere le stesse opportunità.

Collettivo Aleph

Catania ricorda Carlo Giuliani!

Undici anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera.

Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, Noi ricordiamo!

Per questo abbiamo deciso di vivere un pomeriggio per Carlo Giuliani con musica, dibattiti e la realizzazione di un murales.

Per non dimenticare, per continuare insieme la stessa lotta abbiamo deciso di farlo nel luogo che proprio in questi giorni è stato teatro della brutalità delle istituzioni catanesi, il Palazzo Bernini.

Un pomeriggio che ci ricorda che “Genova non è finita!