Venerdì 24 luglio, al presidio di Venaus durante il campeggio resistente no tav, si è svolta un’ assemblea di Abitare nella Crisi sul tema del diritto all’abitare. La partecipazione è stata molto alta e gli interventi molto ricchi. Presenti diverse esperienze di sportelli e occupazioni abitative: Roma, Firenze, Pisa, Brescia, Torino, Palermo, Catania e molte altre città, da quelle metropolitane a quelle “provinciali”.
È emerso dalle analisi di tutti i partecipanti la palese incapacità, e spesso disinteresse, da parte del governo di risolvere in maniera definitiva e adatta l’emergenza abitativa. Emergenza questa che continua ad aumentare, prendendo forme di disagio sociale sempre più feroci (basti pensare alle ultime notizie di cronaca che raccontano di suicidi avvenuti pochi giorni prima di sfratti e pignoramenti). Il merito del movimento per il diritto all’abitare sta nella presenza nei territori sottoforma di sportelli, permettendo così una presenza e una costanza che, se certamente va migliorata, ha anche il merito di aver intercettato molte situazioni limite e averle rese storia di emancipazione comune attraverso il blocco degli sfratti e le occupazioni abitative comuni. Agli sfratti, che per molti sono diventati una triste quotidianità, si aggiungono gli effetti dell’art. 5 del piano casa. La risposta istantanea del movimento in questo caso è stato quello di iniziare una campagna per il blocco dei distacchi delle utenze e l’inizio della pratica degli allacci abusivi per le abitazioni di decine e decine di famiglie.
Allo stato attuale, il movimento per il diritto all’altare continua il suo lavoro nei territori, giornaliero e costante. Molte occupazioni abitative sono nate e altre sono state sgomberate, in alcuni comuni la pressione degli sportelli e degli occupanti hanno costretto alla resa amministrazioni che hanno assegnato alloggi a intere famiglie. Ma i tempi del 19 ottobre e degli tsunami sembrano troppo lontani. La repressione, feroce e accanita, verso queste forme di autorganizzazione e autodeterminazione, non ha risparmiato nessuno: sgomberi, manganellate e anche arresti. È innegabile però riconoscere il valore di quelle giornate di mobilitazione comune, sul piano fattuale e simbolico. Se quindi è fondamentale il lavoro costante e giornaliero nei territori, senza il quale non esisterebbe nessun movimento, è anche comune l’esigenza di ritornare a costruire momenti comuni di mobilitazione, allargando il tema della casa ad altri strettamente collegati ad esso. Parlare dell’emergenza abitativa infatti non significa occuparsi solo di sfratti e occupazioni ma coinvolge, oggi più di ieri, i temi dei mutui, dei pignoramenti e della fiscalità. Inoltre, emerge con prepotenza l’esigenza di occuparsi degli effetti dell’art. 5 del Piano Casa non solo in termini di distacchi delle utenze ma anche rispetto alla negazione di altri servizi fondamentali, quali istruzione, sanità e trasporti, per dirne alcuni. Inoltre, un ulteriore compito che deve coinvolgere tutte e tutti riguarda la potenziale rimonta di soggetti di estreme destre, come Casa Pound, Lega Nord e Forza Nuova che, seminando odio razziale e diffidenza, raccoglie in certi luoghi l’esigenza di intere famiglie portandole a temi nazionalisti e razzisti. Sta quindi a tutte e tutti costruire el proprio lavoro territoriale, i giusti anticorpi a queste ancora piccole, eppure esistenti, derive fasciste.
La centralità della lotta per il diritto all’abitare così non dipende solo ed esclusivamente dall’emergenza abitativa in sé o dalla variegata composizione sociale che la attraversano, ma anche dalla potenzialità che questa lotta, estendendosi in questi termini, esprime come fulcro di molte altre lotte comuni presenti nei territori. Lotta alla casa quindi come centro del conflitto in senso più largo, “luogo” di ricomposizione di un blocco sociale unico che possa rivendicare diritti perduti e corrosi.
Decisi a ritornare di comune accordo a una posizione di “attacco”, rifiutando quel subdolo tentativo di ridurre gli atti di resistenza ed autorganizzazione per avere una casa come meri problemi di ordine pubblico, l’intenzione è quella di ritornare a vivere momenti comuni di lotta ed analisi. Nessuna ricetta pronta dunque per i singoli territori, che comunque devono continuare a lavorare nel proprio contesto.
Dopo due anni dall’ultima volta, dalla Val di Susa riecheggia un unico coro: VOGLIAMO UNA SOLA BRANDE OPERA, CASA E REDDITO PER TUTTE E TUTTI!