La risposta del Comune alla questione abitativa? Un muro di mattoni e di menzogne.

Dopo quasi una settimana di lavori, nella tarda mattinata di oggi è stato murato il portone al civico 7 di via G. L. Bernini, ultima porta rimasta aperta delle quattro palazzine che compongono l’ormai tristemente noto Palazzo Bernini.

Congratulazioni a chi, negli scorsi due mesi, ha chiesto insistentemente lo sgombero del palazzo. Prima di chiudere la questione e lasciare brindare chi di dovere però, vorremmo precisare alcune cose, giusto perché non siamo noi ad avere qualcosa da nascondere, e la chiarezza ci appartiene, evidentemente.

“Complimenti” al Comune e al Presidio Leggero

Nei giorni prima dello sgombero facce mai viste nei mesi precedenti (a parte alcune) hanno iniziato a frequentare il palazzo per qualche minuto ogni giorno, spargendo la voce fra gli abitanti dell’imminente sfratto, consigliando loro di spostarsi quanto prima, magari di cercare una casa in affitto (come se non fossero capaci di trovarsela da soli una casa in affitto potendo permettersela). Purtroppo, però, nessuna di quelle famiglie presenti al palazzo ha la possibilità economica di pagare centinaia di euro ogni mese per un paio di stanze. Dunque, la ditta chiamata dal Comune e il geometra del Comune si sono ritrovati, martedì 17 luglio, quattro palazzine interamente abitate. Bel problema se vuoi svuotare un palazzo (perché hai alle calcagna la medio–alta borghesia della città che si lamenta e chiede un intervento immediato) e non sai dove mettere 150 persone!

Il destino degli abitanti di Palazzo Bernini

Per placare gli animi di chi si è messo a chiedere spiegazioni, allora è uscita fuori la storiella del denaro da dare ad ogni nucleo familiare (all’inizio 1.000 euro a famiglia!) per pagar loro il rientro in Romania, Bulgaria o qualsiasi altro sia il luogo d’origine, e permettergli di affrontare i primi tempi. Nei giorni successivi però, i 1.000 euro sono diventati 100 euro a persona, poi 100 euro a nucleo familiare, poi solo  costi per il biglietto del pullman. Data la poca convenienza della vergognosa proposta al ribasso, solo 27 persone su 150 hanno accettato la proposta di tornare a casa, 27 persone tutte Rumene. Intanto, dato l’evolversi della situazione, qualche rumeno della seconda e terza palazzina si è spostato autonomamente dal palazzo per sistemarsi non si sa bene dove. Il resto degli abitanti di queste due palazzine ha spostato  le proprie cose sul porticato per protesta (sotto uno striscione con scritto “grazie sindaco da oggi dormiamo fuori”). Tutta la quarta e gran parte della prima palazzina si sono svuotate: erano abitate da famiglie bulgare che sono tornate in Corso dei Martiri. Due nuclei familiari della prima palazzina rimangono tuttora al palazzo, come hanno fatto le famiglie rumene. Formalmente questi spostamenti non vengono rilevati e viene dichiarato che tutti sarebbero rientrati nei rispettivi paesi di provenienza.

Dati falsi e menzogne

Le menzogne però non sono finite. Infatti è falso il dato per cui il rimpatrio (perché lo consideriamo un rimpatrio coatto a tutti gli effetti, se non puoi rientrare per un anno in territorio Italiano) sarebbe stato accettato da tutti. Ma anche per quelli che veramente vorrebbero tornarsene a casa, stanchi dell’Italia, non sono tutte rose e fiori. Ad oggi, infatti, non ci sono i soldi per pagare tutti i 27 biglietti e dunque solo 6 persone su 27 sono partite questo pomeriggio.

Le responsabilità hanno nomi e cognomi

Si sperava che il Comune avesse rinunciato almeno per oggi, visti gli impedimenti per le partenze previste, a sigillare l’ultimo accesso al palazzo. Purtroppo però, in tarda mattinata, scatta l’ordine di murare, proprio mentre inizia un forte acquazzone: non solo gli ultimi abitanti del palazzo da oggi sono senza casa, ma hanno anche tutti gli effetti personali zuppi di acqua e pertanto dovranno dormire su materassi umidi, compreso Mario, di quattro anni. Se non la logica, nemmeno la disumana condizione di queste persone hanno fermato le decisioni di chi da ordini per telefono, al sicuro, dalle sue stanzette di palazzo.

Abitato da circa 150 persone fino alla settimana scorsa, animato dai giochi e dalle risa dei bambini che scorrazzavano sotto al portico, rallegrato dalla musica suonata e ballata in allegria, addolcito dai sorrisi di chi, nonostante tutto, trova ancora il coraggio di vedere il bicchiere mezzo pieno, il Palazzo Bernini oggi si presenta come un gigante di cemento senza senso, incomprensibilmente vuoto e pieno, allo stesso tempo, dei nuovi “senza tetto” che il Comune ha generato in una settimana di intervento.

E adesso festeggiate.

Adesso potete brindare tutti, consiglieri e abitanti della “Catania bene” e non. Felici e soddisfatti: pericolo eliminato, nemico abbattuto. Che nessuno però si stupisca se usiamo parole come “ghettizzazione” e “razzismo”: perché se c’è una cosa che abbiamo imparato da questa vicenda è che Catania non accoglie nessuno, se non per interesse personale, e che l’epoca degli inspiegabili razzismi non è affatto finita. Quando vorrete spegnere il televisore, aprire la porta e uscire di casa, fatevi pure una passeggiata sotto i portici del Palazzo Bernini “liberato dagli invasori” e guardate i giochini lasciati da Narcisa, Sefora e Andrei, le scarpe di Nadia, Nicoleta o Gabriela: guardate i segni lasciati da chi sperava nella parola “domani” e che voi avete cacciato, sentitevi pure in colpa e con la coscienza sporca.

Noi forse non ci saremo, forse saremo stati buttati fuori per colpa delle vostre menti bigotte, ancora una volta, da un palazzo disabitato. Però sorrideremo ancora, e continueremo a dire che la casa è un diritto e che gli esseri umani sono tutti uguali e che hanno tutti diritto di avere le stesse opportunità.

Collettivo Aleph