Il 9 giugno, il Dipartimento di Scienze Poltiche ha ospitato un seminario dal titolo “IL JOBS ACT, IL PIANO DEL GOVERNO PER FAVORIRE IL RILANCIO DELL’OCCUPAZIONE E RIFORMARE IL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO”. La cosa ci puzzava, e non poco: non si è mai visto un seminario con degli interventi blindati e senza nemmeno un professore, in questo casi di diritto magari, che tenga le redini del seminario stesso.
Abbiamo deciso di presentarci a Scienze Politiche quindi, sia perché non ci piacciono le prese in giro sia perché volevamo dire la nostra sul Jobs Act. Alle 12.00 si è tenuta un’assemblea nel cortile della centrale, dove, con diversi interventi, abbiamo approfondito meglio i veri significati del piano casa e del Jobs Act, confrontandoci sulle reali conseguenze di tali leggi. Insieme, in assemblea, abbiamo deciso di aspettare il ministro del lavoro Poletti, per dirgli in faccio ciò che pensiamo della sua legge.
Appena arrivato nel cortile, lo abbiamo accolto calorosamente con fischi e cori. Arrivati in aula, siamo stati immediatamente raggiunti dal direttore del dipartimento lamentandosi perché non avevamo chiesto il permesso, né per l’assemblea né per la contestazione… come se dovessimo chiedere il permesso per sederci in cortile o esprimere dissenso. Dopo un colorito dibattito con gli organizzatori del seminario-farsa, abbiamo ottenuto di poter fare un intervento. Intanto, gli interventi dall’aula mostravano palesemente il vero volto dell’incontro: una passerella politica per il PD e gli amici suoi, Confindustria e CGIL compresi. Palesemente, diverse persone hanno ribadito che “è inutile parlare della legge 78 (il Jobs Act), perché è certamente una misura valida. Ne attendiamo gli esiti per esprimerci. Intanto ci complimentiamo col Ministro”. Come unico “contraddittorio” la CGIL… come se non sapessimo che da mesi sta dietro al governo per avere anche solo un incontro, elemosinando attenzioni e continuando a tenere la coda tra le gambe pittosto che chiamare uno sciopero generale dietro l’altro, vista la situazione abberrante.
Abbiamo dunque preso parola per espirmere prima di tutto il grande disgusto per quella passerella, ennesima opera di evangelizzazione del governo Renzi. Abbiamo poi spulciato la legge, spiegando alla platea perché il Jobs Act ha come unica conseguanza la precarizzazione a vita e lo sfruttamento del lavoratore, bello e buono. Forse eravamo gli unici dei presenti ad esserci letti davvero la legge.
Poletti nel risponderci ha naturalmente ritirato fuori la storia che lui ha iniziato a lavorare a sei anni e via tutta la tiritera su quanto il alvoro sia importante. Tra una battuta alla Bersani e un’altra, però, Poletti ha certamente detto delle cose che non sono passate inosservate, almeno a noi. Da vero democratico, come il partito di cui fa parte, ha palesemente ammesso che sì, bello il dialogo, bello parlare con tutti, ma comunque a decidere è il geverno che, sino a quando è sicuro di quello che fa, continua per la sua strada senza stare a sentire nessuno (alla faccia dei democratici!). Inoltre, ha anche ammesso che non ne può più di lavoratori reintegrati nei posti di lavoro dalle sentenze giudiziarie, dopo esseri stati buttati fuori perché impegnati nella lotta comune per il rispetto dei diritti di tutti: meglio lasciarli fuori se creano problemi alle imprese.
Eccolo il ministro del lavoro, un uomo che crede fermamente nei valori della precarizzazione, che incentiva lo sfruttamento e tifa per il ricatto sul posto di lavoro. Un governo come quello Renzi non poteva chiedere di meglio.
Siamo andati a sporcare la bella vetrinetta del governo Renzi, con le nostre parole, i nostri fischi e i nostri slogan. Abbiamo dimostrato che quanto urliamo “NO JOBS ACT! NO PIANO CASA!” sappiamo esattamente di cosa parliamo. Siamo quei giovani studenti, precari, disoccupati o neet a cui tanti si riferiscono. Siamo stanchi che tutti parlino di noi sempre più a sproposito, soprattutto durante un seminario-farsa in cui l’età media degli intervenuti è decisamente poco giovanile. Siamo stanchi di essere determinati da leggi che assomigliano sempre di più a leggi repressive, epocali per la loro violenza. Siamo stanchi e l’unici luglio, insieme a tante e tanti altri saremo a Torino, in occasione del vertice europeo sull’occupazione giovanile. Se Europa chiama i giovani, allora ai giovani la parola.